Allarme rientrato, livello sempre basso.
Ci riferiamo rispettivamente alla consistenza della gastronomia e alla qualità della cinematografia. Dunque: domenica 30 c’è stata l’apertura del Roma Fiction Fest. Nella Sala Sinopoli, parco della Musica, consegna dell’Excellence Award a Stefania Sandrelli da parte di Steve della Casa, un signore che noi non conosciamo personalmente, sciatto nell’abbigliamento come sembra obbligatorio per gli intellettuali. Sarà certamente una persona competente, ma sul palco forse ci sarebbe stato meglio un professionista del contatto con il pubblico. Qualcuno più elegante, con un’espressione più rassicurante, un sorriso più disteso, una dizione più corretta, e senza la debolezza di farfugliare ogni tanto in un improbabile francese. Per fortuna come contrappeso ci hanno regalato la snella grazia di Miriam Leone. E ancora una volta ci ha colpito il modo assolutamente naturale di stare sul palco, di mandare un bacio a qualcuno nel pubblico, di ringraziare con due parole, lo ripetiamo, assolutamente naturali, della Sandrelli.
Subito dopo, prima della proiezione, sono arrivati a valanga tutti gli interpreti della fiction “Questo nostro amore”, che apre il festival. Saranno stati una trentina, di cui quasi la metà bambini. Immaginarsi il tono da festa di paese. Poi, presenza un po’ fuori carattere, ma eccezionale per voce, disinvoltura, look, qualità del repertorio, e non ultimo l’accompagnamento formidabile di un pianista e un contrabbassista di cui non sappiamo i nomi, l’esibizione di Nadea, una cantante per noi sconosciuta.
Poi abbiamo capito, quando nella colonna sonora abbiamo risentito le sue canzoni, inserite a forza qua e là, in modo del tutto incongruo. Non brutte, anzi, parecchio più belle della sciocca musica di commento, stantia, ovvia, e soprattutto impostata sulla formula decotta del temino che chiude con il plin plin al cambio scena o sulla battuta da ridere (fra l’altro il nome del suo autore non compare nel materiale promozionale né fra le notizie in rete. Come mai?).
Cioè, non abbiamo precisamente capito, ma abbiamo dovuto dare ascolto alle solite voci maligne che si intrecciavano in sala per spiegare questa presenza forzata (intrallazzi, sex, ricatti, eccetera). In casi come questo, la qualità superiore di certi brani non solo non serve a farli emergere, ma danneggia, a causa dello squilibrio che crea, il placido fluire della noiosa banalità della colonna sonora vera e propria. Perché la musica di commento deve essere prima di tutto funzionale all’immagine. Se poi è anche bella, tanto meglio; ma se è solo bella e non funzionale, allora tanto peggio. Il contrasto è micidiale.
La fiction proiettata? Come l’anno scorso. Diciamo: boh. Una storia qualsiasi, un dialogo qualsiasi, un’interpretazione qualsiasi. Con i soliti bambini saccenti, colleghi maligni, portinai spioni, adolescenti ribelli, insomma tutto l’armamentario. Luoghi comuni a mazzetti. Siamo arrivati in fondo con una certa sofferenza perché la faccenda è durata parecchio.
Viziati dal ricordo dello scorso anno e stimolati dall’ora tarda, negli ultimi minuti del sacrificio abbiamo cominciato a pregustare la cena, che l’altra volta era stata piuttosto buona. Ma nello stesso tempo eravamo anche preoccupati che le ultime vicende, a tutti note, avessero messo in difficoltà la premiata ditta Mangiucchia & Sbevazza (Nuova denominazione sociale della Regione Lazio) mortificando il livello del catering. Anzi, c’era chi addirittura prevedeva il salto della cena.
Invece, hoplà! Tavole imbandite con profusione di ottimi vini e alimentazione bene assortita, mozzarelle, salumi, carni, porchetta, verdure e una novità: maltagliati con pancetta croccante e ceci. Buon servizio e neanche troppo piratesco l’arrembaggio ai tavoli. Cosa desiderare di più? Ah, sì, all’uscita aveva perfino smesso di piovere.
PS. Però un appunto al Parco della Musica lo dobbiamo fare. Ogni volta, pochi secondi dopo la fine di tutti gli eventi, a cui siamo presenti da sempre, comincia, prima morbido, poi sempre più insistente, anche se cortese, il movimento del can pastore con il gregge. “Scusate, dobbiamo chiudere. Vogliamo uscire? Signori…” e così via in un incalzare da transumanza delle mandrie. Rovinando uno dei piaceri dello spettacolo, che è ciondolare qualche minuto dopo la fine, a commentare e salutare.
D’accordo, il personale ha i suoi orari, e infatti non è con loro che ce la prendiamo, ma forse si potrebbe prevedere un dieci minuti di straordinario per concedere a noi del pubblico il tempo di iniziare la digestione (dello spettacolo naturalmente, non del buffet) senza strafogarci.
Ci quotiamo per pagare un piccolo supplemento sul biglietto. Ne varrebbe la pena.
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