La St. Louis Music School ci ha invitati lunedì 13 a una master class di Gegè Telesforo: “Vocal Jazz Concept”. Tanti ne abbiamo ascoltati di vocalisti jazz, e anche alle lezioni di parecchi professori abbiamo assistito, ma mai ci era capitato di trovare qualcuno come Gegè, capace di trasmettere nel corso di un’apparentemente semplice chiacchierata tante nozioni utili, addirittura indispensabili a chiunque ci voglia provare (a fare il vocalista), o comunque a fare jazz cantando, suonando, o anche solo ascoltando consapevolmente.
L’amico Telesforo, oltre a essere un polistrumentista, un mago delle corde vocali, un presentatore e promotore di talenti, è un bel signore dall’abbigliamento e i toni normali, capace di citare i nomi più famosi del jazz americano con cui ha collaborato senza darsi arie. Il suo incitamento agli studenti è “Segui la passione!”. Nelle sue chiacchierate fa spesso riferimento allo scudo che gli ha permesso di difendersi dalle insidie della siringa durante la sua adolescenza in provincia, e di girare per Harlem di notte, unico bianco, senza beccarsi una coltellata. E’ che sono di Foggia, ripete, e pare che questo fatto, oltre ad averlo aiutato in passato, sia tuttora un amuleto contro le cattiverie della vita. Senza andare troppo nel dettaglio, lo abbiamo visto chiamare al microfono ragazzi intimiditi, e in due battute dargli la chiave per sentirsi bene dentro, e anche, il che non guasta, funzionare meglio fuori. Avercene, di insegnanti così!
Martedì. Cambiamo genere. Dal vocalismo jazzato alla poliedricità politica. A Via delle Coppelle c’è Palazzo Baldassini (Sangallo il Giovane, 1518), un sobrio edificio di purissimo stile rinascimentale, cui cinque secoli di vita non hanno fatto alcun danno: integro nella sua assoluta eleganza. Non grande, con un meraviglioso cortile e una ancor più bella loggia che vi si affaccia. In questo luogo delle meraviglie ha sede l’Istituto Luigi Sturzo, che nel 2007 ha acquisito l’archivio personale di Giulio Andreotti (che oggi compirebbe 95 anni), composto da 3.500 faldoni dai titoli variegati e chiarificatori: Democrazia Cristiana, Vaticano, ma anche Divorzio, Cinema.
L’occasione: la presentazione di un curioso libretto contenente alcuni suoi discorsi, e però anche varie testimonianze di amici fuori del coro politico, Pippo Baudo: “Ironia e leggerezza in video”, Totti: “Giallorosso come pochi”. Ci aspettavamo la solita barbogia cerimonia istituzionale. Invece, folla da concerto rock. Nessuna possibilità di entrare nel salone della cerimonia, buttafuori alla porta e delirio di ogni genere di persone già mezz’ora prima dell’inizio.
Non stiamo esagerando. Abbiamo dovuto rinunciare a ogni tentativo e ce ne siamo andati, con il libretto in tasca (invece delle proverbiali pive nel proverbiale sacco) ma senza perderci d’animo. A Roma basta girare l’angolo e da una meraviglia si passa a un’altra. La Chiesa di S. Agostino è sì e no a cento metri. La facciata tirata su con i blocchi di travertino caduti dal Colosseo. C’è il suo bravo Caravaggio (la Madonna dei pellegrini), il suo bravissimo Raffaello (il profeta Isaia) e altre squisitezze. In più ci si può permettere il lusso di camminare su un pavimento di preziosi marmi tagliati a quadrati, losanghe, rombi, e soprattutto a fette.
Ci spieghiamo: tutta la superficie è intarsiata di tondi di vario colore e provenienze: cipollino greco, rosso di Verona, serpentino del Peloponneso, bigio numidico, giallo tunisino; ma un occhio attento capisce subito cosa sono questi tondi: fette di colonna. All’epoca si usava. Una colonna romana caduta, magari spezzata e non più utile per sostenere un architrave, diventava un utilissimo salame di marmo. La si tagliava a fette uguali e, hoplà, ecco bell’e pronta una serie di tondi colorati da mescolare ad altre fette di altre colonne, e farci un bel pavimento.
Prima di uscire, un’occhiata la merita, nella cappella sinistra del transetto, la statua di un santo, Tommaso di Villanova che fa l’elemosina. Si tratta di una straordinaria opera d’arte al servizio di un messaggio efferato. Il santo, ammantato di sontuosi abiti, elegantissimo e visibilmente ricco, si sporge dalla sua nicchia sull’altare e fa cadere con gesto di condiscendenza una moneta nella mano protesa di una povera donna con due bambini (di sicuro figli della colpa) attaccati alle sottane, collocata fuori dalla nicchia e un gradino più in basso del santo, tanto per far risaltare la sua condizione di peccatrice, e quindi di meritatissima miseria. Ma, niente paura: purché rimanga sul gradino di sotto e non alzi la cresta, c’è la Chiesa che la soccorre. Il gruppo, davvero notevole per la sua perversa armonia, è attribuito a Ercole Ferrata.
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