Invidia

 

Proprio così, l’invidia è stata il primo inconfessabile sentimento che ci è montato nella strozza quando, giovedì 4, siamo approdati sulla terrazza della Fondazione Scelsi a Via San Teodoro. E non è difficile capire perché. Quello che appare nelle foto è solo metà del panorama che si vede da lassù. A sinistra, niente di meno che il tempio di Antonino e Faustina, quello dei Dioscuri, quello di Romolo e la Basilica di Massenzio. A destra, niente di meno che la chiesa di San Teodoro e la rupe del Palatino, con mura dirute e cipressi. L’altra metà del panorama è dietro le nostre spalle, e comprende, sempre niente di meno che, il Campidoglio, l’Altare della Patria, e poi il Foro e la colonna di Traiano, l’arco di Settimio Severo, tetti, cupole, campanili, terrazze fiorite e rondini in volo.

Da schiattare, perché, per di più, il sole tramonta nel quadrante giusto e così facendo illumina di quella speciale luce dorata di Roma i monumenti. E il relatore.

Eccolo: Giancarlo Schiaffini, esimio compositore, trombonista e tubista, da sempre compromesso con la Musica Contemporanea. Ci aspettava per parlarci di “Improvvisazione per scrivere, scrivere per improvvisare, improvvisare per improvvisare”. L’uomo è un paradossale (come si può facilmente dedurre dal titolo dell’incontro), garbato e interessante affabulatore. Ci ha tenuti incatenati alle sedie per quasi due ore, con l’aiuto del panorama, certo, ma anche di quella che Alessandra Carlotta Pellegrini, direttrice della Fondazione, ha definito presentandolo, la sua capacità di “snocciolare con semplicità tutta la sua conoscenza ed esperienza”.

Ci ha offerto un bel ripasso di storia dell’improvvisazione nella musica colta occidentale: dalla pratica sei-settecentesca del basso numerato con il solista al timone di comando, poi decaduta e passata dalla totale libertà di prima all’imbalsamazione di tutto l’ottocento, alla rinascita a inizio novecento nel jazz, e al definitivo riemergere, a metà del secolo, nella Contemporanea.

Da buon maestro ci ha messo in guardia contro la faciloneria degli incompetenti e ci ha ricordato che anche in musica puoi avere grandi idee, ma se non hai la tecnica in mano non farai certo grandi cose. Neanche se improvvisi.

E poi ha imbracciato un euphonium (una specie di basso tuba in formato ridotto) e ci ha suonato “Maknongan” un brano di Giacinto Scelsi, il padrone di casa, da tempo dipartito, a cui la fondazione è intitolata.

Il glorioso tramonto romano, sui cui colori ci siamo già soffermati, avvolgeva il solista abbracciato al suo lucido strumento. Il quale, e non ce ne voglia l’amico Schiaffini, per sua natura (dello strumento, non di Schiaffini), e specialmente come solista (sempre lo strumento), non può che emettere, sotto il soffio dell’esecutore, sonore, talvolta vellutate, magari anche melodiose pernacchie.

Tutto intorno alla terrazza, nel dorato tramonto, volteggiavano sghignazzando i gabbiani.

Anche su questo termine, non fraintendeteci. Il verso del gabbiano, scientificamente chiamato “Larus cachinnans”, uccello sghignazzante, non ha evidentemente alcuna connotazione critica. E’ nella natura del larus emettere un richiamo che alle nostre orecchie suona come una sghignazzata.

Lui, ne siamo certi, non se ne rende conto. E soprattutto è garantito che non ha alcuna competenza sull’improvvisazione nella musica contemporanea.

A fine esecuzione si è alzato l’immancabile ponentino (altra pregiata esclusiva di Roma), e la fondazione Scelsi, oltre al panorama, di cui non ci stancheremmo mai di parlare, (che nel frattempo si era tinto di lilla, e poi di ombre azzurre) ci ha fatto omaggio di qualche calice di ottimo prosecco ben gelato.

Non volevamo più andarcene.

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