Lo sbalsamatore

Lo sbalsamatore

 

No, perché imbalsamare cose o persone è relativamente facile, avendo gli ingredienti, ma per sbalsamarle ci vuole qualcuno di speciale.

Come si fa a non definire imbalsamato questo virtuoso, non proprio acconciato da piano bar, piazzato su una sedia Luigi XVI, sullo sfondo della boiserie del Circolo Ufficiali dell’Esercito, che ci ha dilettati con un inqualificabile (nel senso che è proprio difficile qualificarlo) medley di “Ta-pum”, “La canzone del Piave” e “Il testamento del Capitano”.

Caserma Pio IX, Roma, 6 ottobre. Il Circolo naturalmente è una meraviglia di archi e tendaggi; l’ambiente è formalissimo: signori incravattati, militari in divisa, mogli in tiro e temibili generalesse della CRI in camice bianco e velo.

“Inediti dal fronte - Dietro le quinte della Grande Guerra”, titolo e sottotitolo dell’evento. L’audace che sfida la sorte con il suo testo e la sua persona è Michele D’Andrea, arguto esperto di cerimoniale, di onorificenze, di araldica militare e annessi e connessi, che si racconta in cartella stampa con una breve biografia ben bene inzuppata di ironia (“tiene seminari di protocollo, se ispirato presenta concerti bandistici e da giovanetto, giocando a basket, ha contribuito in maniera decisiva alla retrocessione della sua squadra”) C’è chi, fra i presenti, ha chiesto ad alta voce il nome della squadra.

Ironia che naturalmente sfugge al presidente dell’Associazione Lagunari Truppe Anfibie (i padroni di casa) mentre lo presenta serio serio a noi del pubblico.

D’Andrea, consumata volpe del microfono e del palco, lascia dire, e poi, ecco il vero sbalsamatore (in certi momenti, secondo noi, a rischio corte marziale) che parte a intrattenerci, cantando senza vergogna, proiettando foto e documenti, discettando di pidocchi e topi di trincea e fornendoci sorprendenti notizie a denominazione di epoca controllata. Abbiamo così appreso che:

L’espressione “palle girate” deriva dal fatto che, per un maggiore effetto a distanza di trincea, i fanti toglievano i proiettili dai bossoli di fucile, li giravano e ce li rinfilavano al contrario. Provocando squarci da far paura negli elmetti nemici.

L’espressione “scemo di guerra” serviva a descrivere i soldati che perdevano la brocca per shell shock: scoppio ravvicinato di granata.

L’espressione, o meglio l’insulto “pezza da piedi” viene dall’uso di piccoli teli, molto efficaci per avvolgere le estremità, in sostituzione dei calzini.

E i bambini nati in quel periodo e chiamati “Firmato” devono gratitudine per questo bel nome ai bollettini di guerra, prima sottoscritti da Cadorna, poi da Diaz. (firmato Cadorna, firmato Diaz).

Chiude la festa un secondo discorsetto del presidente dell’ALTA, sempre coerente e sempre ignaro di una possibile ironia, e tutti a casa. Molte risate sotto i baffi e onore al merito all’eroico fante Michele D’Andrea.


Emufest

 

Tutto il contrario, l’Emufest, International Electroacustic Music Festival, inaugurato alla Sala Accademica di Santa Cecilia lunedì 5: atmosfera informale, nessuna cravatta, tantomeno divise; fra il pubblico molti futuri musicisti, per il momento ancora senza ruolo.

Serata interessante, affidata interamente al flautista Gianni Trovalusci (che qui vediamo impicciato fra cavi, cavetti e microfoni) e all’elettronica live.

Con diversi momenti di bassa pressione che noi crediamo di poter imputare alla mancanza di audacia delle composizioni. Gli autori, tutt’altro che vecchi, sembrano incapaci di osare e si limitano a ricucinare un po’ il vecchio repertorio di sbuffi, sfiati, chiavi e cuscinetti chiusi e aperti senza suono, e simili piacevolezze anni ’70.

Trovalusci è bravissimo, ma certo, come non si può spremere sangue dalla proverbiale rapa, così è difficile fare scandalo con uno strumento melodico come un flauto, sia pure in sol e amplificato a volontà. Come è quasi impensabile ormai essere spiazzati dall’elettronica.

Quindi? Non abbiamo la risposta, naturalmente, ma avremmo preferito uscire da quella bellissima sala in stile ottocento sabaudo portandoci dentro qualcuna di quelle furie iconoclaste che tanto infiammavano i concerti della nostra gioventù.

O magari una nuova e più sottile inquietudine da terzo millennio.

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