Risarcimento
Venerdì 9 ottobre, partenza per Ascoli Piceno dove si inaugura il 36° Festival Nuovi Spazi Musicali di Ada Gentile.
Evviva! La Via Salaria passa a pochi chilometri da Amatrice, dove è nato un piatto che ci piace molto: pomodoro, guanciale e pecorino, che, sparsi in abbondanza sulla pasta, diventano i famosi “bucatini all’amatriciana”. Basta calibrare la partenza in modo che l’ora di pranzo ci sorprenda da quelle parti, e la festa è in tavola.
Ci sentiamo un po’ in colpa per questo nostro subdolo stratagemma di unire l’utile al dilettevole. Vorremmo avere un direttore spirituale, o meglio, esistenziale, per dirci cosa è l’uno e cosa è l’altro: la musica o i bucatini?
Ore 13, stop in una trattoria con un’aria abbastanza ruspante da provocarci illusorie acquoline di bontà e spontaneità culinaria. Fregatura! Piatto da refettorio scolastico e vino in carattere. Ingenui e anche sfortunati. Ripartiamo delusi.
Per fortuna il risarcimento ce lo fornisce il Festival.
La città è, lo sanno tutti, una meraviglia di coerenza architettonica. Un misto di medioevo, rinascimento e barocco unificati dall’uso omogeneo del travertino. Con, e guai se fosse mancato, un bel pugno nell’occhio: la poderosa ex Casa del Fascio, violento esempio di stile razionalista.
Nel foyer del Teatro Ventidio Basso, per la serata inaugurale del festival, si ride. E si ride in un’occasione in cui normalmente, se proprio non si piange, almeno si sta seri: un concerto di musica contemporanea.
Ecco il perché: il programma è un melologo comico (parlano e cantano gli animali, ma che animali!) articolato in vari momenti, su testi di Stefano Benni e musica di autori (in buona parte presenti) contemporaneissimi e, va da sé, spiritosissimi.
Fra i protagonisti delle esilaranti scenette musicali siamo stati deliziati da un Cantango di Fausto Sebastiani, una Gallina Intelligente di Sbordoni, un Pavarotto di Piacentini, una Simmukkental di Stefano Cucci (della quale non possiamo non citare il lamento: “Oggi siam qui, domani scaloppine”) e finalmente dal Topo Cagone di Ada Gentile.
L’associazione fra quest’ultimo personaggio e lo strumento che appare in foto è immaginabile: nel racconto il topo fa di tutto per tener fede alla sua fama; lo strumento, un inconsueto sassofono basso, ne commenta le evacu-azioni in maniera ovviamente onomatopeica.
Si sono prestati senza pudore, contribuendo alla riuscita della burla, la soprano Susanne Bungaard, il basso Stefano Stella, il direttore, narratore, compositore Stefano Cucci e naturalmente gli strumentisti (all’onomatopeico sax basso Michele Bianchini).
Grandissimo successo. Presenti tutte le autorità cittadine, che ridono, applaudono e congratulano l’amica Ada, la quale, trasferendo il suo festival da Roma ad Ascoli, è riuscita a riossigenarlo robustamente salvandolo dall’infida Palude Capitolina in cui, dopo anni di perigliosa navigazione, stava per affondare.
Abbiamo anche fatto conoscenza con il maestro Allevi senior, padre del novello Mozart, per trent’anni direttore della banda di Porto San Giorgio e uomo dalla presenza energica e muscolare. Tutt’altra figura da quella del figlioletto Giovanni, con il suo look new age, i riccioloni e le manine svolazzanti sulla tastiera o lancianti baci al pubblico.
Del quale leggiamo che chiuderà il 4 novembre nella basilica di S. Ignazio a Roma il Festival Internazionale di Musica e Arte Sacra con la sua composizione “Toccata, canzone e fuga in re maggiore per organo a canne” (notiamo che a proposito di questo strumento si parla spesso di canne ma non si cita mai il pusher).
A questo punto non sappiamo decidere se abbiamo a che fare con l’ingenuità del cronista o con la sapienza autopromozionale del nostro genietto, mentre l’articolo prosegue definendo l’opera “uno dei brani più importanti della sua carriera che lo porta a confrontarsi con maestri come Bach e Strauss”, e citando il momento magico dell’ispirazione del Maestro espresso dalle sue proprie parole: “La musica mi ha investito come un fiume in piena, e poi tutta la Fuga, nelle sue quattro voci, ha iniziato a girare da sola come un planetario”.
Possiamo perdere siffatta manifestazione di sublime melensaggine? Caschi il mondo, il 4 novembre ci saremo.
Finalmente nel dopo spettacolo abbiamo ricevuto anche l’indennizzo gastronomico al quale pensavamo di avere diritto: squisite olive ascolane, fritti vegetali, ciauscolo e altre leccornie. E vino all’altezza. Più la mitica anisetta.
Le papille ringraziano, il fegato, mica tanto. Ma resisteremo.
Publio Ventidio Basso
Per completezza d’informazione, questo signore seminudo ritratto mentre difende le insegne di Roma in un immenso dipinto ottocentesco che copre tutta una parete del foyer del teatro Ventidio Basso, dove ha avuto luogo il concerto, è, per l’appunto, il console Publio Ventidio Basso, un illustre ascolano del primo secolo a.C., strenuo difensore dell’Impero Romano.
La ragione per cui gli eroi antichi, nell’espletamento delle loro funzioni militari, appaiono spesso nudi, con addosso al massimo una improbabile pelliccetta come questa (la quale, anche se striminzita riesce a coprire le parti sensibili) ci è sempre rimasta oscura.
Specie in un’allegoria del genere, in cui il console romano dovrebbe, per la nobiltà dell’atteggiamento e ancora di più per quella dell’abbigliamento, essere chiaramente distinguibile da quegli straccioni brutti sporchi e cattivi, come sempre sono rappresentati i barbari.
E poi, dato che, per essere diventato console avrà avuto i suoi anni, come faceva a essere così snello e muscoloso?
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