Quando un’onda ti travolge non è necessario sapere di quante gocce è formata: tanto vale lasciarsi prendere e portare lontano.
24 aprile. Ecco: entrare in S. Andrea della Valle, gremita di un pubblico commosso, ed essere travolti dal Dies Irae del Requiem di Mozart è stato un tutt’uno.
Un coro potente: quello dell’Accademia Vocale Romana; un’orchestra vibrante: quella del Festival di Pasqua; quattro solisti emozionanti: Bungaard, Ratkova, Putelli, Carli; un direttore energetico: Stefano Sovrani.
E’ successo domenica verso le sei, mentre il sole tramontava illuminando di luce dorata attraverso i finestroni tutta la parete orientale della chiesa; e la grande navata era piena fino al soffitto di questa irresistibile onda sonora.
Sarà anche, come sembra sicuro, che Mozart non abbia fatto in tempo a scriverlo tutto. Comunque bisogna dire che il (suo o no, non importa) Requiem è riuscito proprio bene. Ed è una musica a cui l’acustica altrimenti problematica di una chiesa così grande rende piena giustizia gonfiando i suoni con un’enfasi che aumenta, se possibile, l’emozione.
A cui si è aggiunta la commozione più pacata dell’Ave Verum, offertoci come bis.
In mezzo a tutta questa bellezza e per tutta la durata dell’esecuzione, la porta d’ingresso della chiesa non ha mai smesso, accidenti a lei, di cigolare sinistramente ogni volta che entrava o usciva qualcuno: un fastidiosissimo e stridente la bemolle, per di più calante.
Possibile che un sacrestano, il parroco, uno degli orchestrali o il direttore; chiunque, prima, durante o dopo le prove, non si sia fatto venire in mente di mandare a comprare alla ferramenta vicina una bomboletta di CRC per scaricarla sui cardini?
Questa domanda senza risposta ci rimanda a una riflessione che invariabilmente fa capolino quando incrociamo per strada un passeggino con le ruote che cigolano orribilmente.
Nessuno, neanche la mamma che lo spinge, sembra accorgersene, ma ogni volta noi ci immedesimiamo nel piccolo cervello del piccolo passeggero impotente che riceve attraverso le sue piccole orecchie questo grande tormentone. E ci viene da pensare che forse proprio lì sta il perché delle tante persone antimusicali che incontreremo nella vita.
26 aprile. “Era una notte buia e tempestosa”… in realtà si tratta di un livido pomeriggio di tipo decisamente invernale. Ci saranno al massimo undici gradi e tira un gagliardo vento gelato. Bella primavera!
Affrontiamo la procella spinti dalla curiosità di verificare i risultati del “Programma di recupero del sistema vegetazionale delle Ville Storiche Romane” grottesca denominazione in burocratese di un progetto definito miracoloso dalla stampa. Le mete, per ora: Villa Aldobrandini e il Giardino degli Aranci.
Naturalmente, come tutto quello che offre la nostra città, si tratta di luoghi già di per sé bellissimi, in più dotati di panorami strepitosi, che, comunque e malgrado i romani, belli lo erano anche prima del progetto e naturalmente lo sono ancora di più adesso.
Cosa è successo? Che questi due giardini che prima erano dei porcili grazie alla cura meticolosa messa dai visitatori nel buttare spazzatura, sfondare le panchine, rompere i rami degli alberi e scrivere le loro scemenze dappertutto, sono stati puliti.
Evento il quale, ancorché normale altrove, dalle nostre parti risulta talmente stupefacente da meritare il nome di riqualificazione e ricevere titoli di sfrenata ammirazione nella cronaca locale.
In pratica adesso questi parchi sono come i normali giardini di Londra, Parigi o N.Y.
Ma per Roma evidentemente è un miracolo.
Il seno di Paolina.
Bonaparte, naturalmente, coniugata Borghese. Il pannello illustrativo dice che la ragazza, durante il suo breve soggiorno romano, con la sua “condotta disinvolta” scandalizzò tutti e fece precipitare il matrimonio con il principe Camillo.
Il Museo Napoleonico, uno dei pochi gratuiti della città, è benissimo organizzato, pulito ed elegante, con l’unica pecca, comune a molte simili istituzioni italiane, di un’idea di base punitiva: puoi starci quanto vuoi, girare e fotografare tutto, ma guai a pensare di sederti un attimo. Una poltroncina, un divanetto: niente. In piedi, ché la cultura è sofferenza e fatica.
Molti i ritrattini, le chincaglierie, i costumi, tutto riferito al periodo fine sette/inizio ottocento. Niente di artisticamente rilevante. Curiosità sì, parecchie. Fra cui un calco del seno destro di Paolina fatto da quel vecchio marpione di Antonio Canova in preparazione della famosissima statua che ora sta al Museo Borghese.
Grande scultore il nostro, di sicuro; ma nulla ci toglie dalla mente che, approfittando dell’arte, con le sue modelle un po’ ci marciasse. E che Paolina un po’ ci stesse.
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RDB (domenica, 01 maggio 2016 23:04)
Certo tu sei abituato a farti travolgere dall'honda, visto che che è il tuo unico mezzo di trasporto da sempre. Ultimamente si nota uno spostamento d'area, il serpente addolcisce il veleno con la poesia. Bravo! Mi piace. Belle foto. Il calco è riconoscibilissimo, è proprio quello di Paolina.
Francesco Casaretti (lunedì, 02 maggio 2016 12:32)
Bellissimo blog! Mi è piaciuto molto. Provo anche stupore e ammirazione per l'orecchio assoluto del Cavaliere che riesce a capire che il cigolio della porta è in la bemolle. Per giunta calante!