Lunedì
L’Istituto Superiore Antincendi è un magnifico esempio di archeologia industriale del quartiere Ostiense, una zona che nelle intenzioni della Roma velleitaria dell’epoca doveva probabilmente fare concorrenza alla vocazione industriale di Milano.
Il recupero architettonico è riuscito benissimo: prati cosparsi di marmi romani (quelli non mancano mai), facciate sistemate per bene e vetrate tirate a lucido sui capannoni e perfino un elicottero di soccorso parcheggiato sulla piazzola.
Fare il pompiere è stato un nostro sogno da piccoli, come probabilmente di tutti i bambini. E un’ammirazione sconfinata per il corpo dei vigili del fuoco ci è rimasta dentro.
Certo, quando si mettono a dipingere…
Eravamo sul posto per l’inaugurazione del Primo premio di pittura “Vigiliinarte”. Alleghiamo la foto di un’opera esposta: è l’autoritratto di uno degli artisti-pompieri.
Martedì
Concerto di chitarra alla Biblioteca Casanatense, il cui salone monumentale è una delle meraviglie di Roma: pareti altissime tappezzate da file di volumi d’inestimabile valore raggiungibili su ballatoi di raffinata eleganza. Due magnifici mappamondi di un paio di metri di diametro. La maestosa statua del Cardinal Casanati, fondatore e mecenate dell’istituzione.
Insomma tutto in scala con la magniloquenza dello stile barocco.
Tutto tranne il suono dello strumento imbracciato dal noto maestro Tom Kerstens il quale l’ha insistentemente usato per somministrarci estratti sonori nel corso della sua conferenza sull’antica musica chitarristica spagnola.
La flebile parlata da studioso, le lunghe pause da sapiente, il tocco delicatissimo dei polpastrelli sulle corde di minugia dispersi nell’immensità del salone hanno validamente contribuito, grazie alla difficoltosa percettibilità di suoni e concetti, a trasformare ogni attimo dell’evento in una noia sepolcrale.
Già la chitarra classica non è (ci perdoneranno gli amici solisti dello strumento) il massimo dell’emozione; in più il maestro la suonava con quella specie di sonnolento snobismo di chi è certo di comunicare qualcosa di importantissimo: non ho bisogno di gridare, chi vuole sentire si sforzi.
Per fortuna a un certo punto si sono scatenate a stormo le campane della vicina chiesa della Minerva: disappunto del solista, sconcerto degli spettatori e guizzo diabolico del cronista che ne ha approfittare per tagliare, ratto, la corda.
Mercoledì
Essendo scaduto da parecchi giorni il tempo per andare a vedere il restauro della Scalinata di Piazza di Spagna, oggi ci è parso opportuno metterci in marcia.
Il candido travertino appena ripulito? Noi abbiamo visto panze, cosce, piedi, sederi stanziali e semoventi. Marmo, neanche un centimetro. Eppure da qualche parte ci dev’essere.
Forse bisogna tornare dopo mezzanotte.
Giovedì
Mostra di pittura di Drugu Choegyal Rinpoche alla Galleria Bonomo. L’artista non c’è perché vive e medita in Himachal Pradesh. Il titolo della mostra è “Observing the mind through art”. Bel potpourri di nomi e parole suggestive per descrivere una modesta raccolta di immagini di imitazione impressionistica (Monet con centocinquant’anni di ritardo) e di esempi di calligrafia tibetana, questi ultimi belli, certo, ma difficilmente classificabili da noi profani.
Pubblico compreso, composto e compunto, come succede quando c’è in ballo qualcosa di mistico e orientale.
Rinfresco (modesto) di tarallucci e vino.
La presentazione stampata chiude con: “Il ricavato della mostra andrà a favore dei suoi (dell’artista) progetti che uniscono arte e spiritualità”.
Venerdì
Ultimo concerto della serie “Jazz al Vittoriano”. Il monumento immerso nella sua bianca pompa da film storico è bellissimo proprio per la sua bianca, pomposa inutilità.
Il concerto fila, il pubblico apprezza, ma quello che colpisce noi è la sfilza di fioriere che circondano la terrazza dove ascoltiamo il gruppo. Saranno una ventina e in tutte e venti trionfano piante (ci sembrano laurocerasi) rigorosamente secche, bruciate, annichilite da una cronica mancanza di innaffiature. Ce le figuriamo là in cima, sotto l’implacabile sole di luglio e agosto senza una goccia d’acqua; non potevano fare altro che ridursi come le vediamo stasera: le foglie ormai friabili di quel bel color cuoio brunito così tipico del verde pubblico in questa nostra città tanto sensibile ai richiami di madre natura
Sabato
Ora di cena. Per tornare a casa dobbiamo attraversare il souk. Eppure non viviamo nel quartiere arabo. Il nostro souk è Via di Tor Millina, a un passo da Piazza Navona. Trattorie, pizzerie, paninerie gomito a gomito, anzi, tavolino a tavolino. E davanti a ognuna insolenti gaglioffi con capelli imbrillantinati o code di cavallo: “How are you?” “Want to eat?” “Good food and wine!”, che cercano, e ci riescono pure, di coinvolgere chiassose ragazzotte scandinave o gruppi di cinguettanti cinesi a sgargarozzarsi le loro carbonare surgelate.
Non è il cibo, è la cialtroneria da terzo mondo che fa male agli occhi e anche allo stomaco.
Domenica
Chiesa di S. Omobono, unico edificio superstite sull’area archeologica davanti all’anagrafe, liberata negli anni trenta da stalle e casupole accatastatesi nei secoli.
Sempre chiusa, ma con un bel cartello sul portone che dice: Messa alle ore 11 della prima domenica del mese. Curiosi di vedere uno dei pochi angoli di Roma che ancora ci sfuggono, eccoci qui, domenica 2 ottobre alle undici in punto ai piedi della breve scalinata, insieme a una mezza dozzina di turisti. Come loro fiduciosi nella puntualità, se non del laico Municipio di Roma, almeno di Santa Madre Chiesa.
Niente. Evidentemente il contagio della maleducazione cittadina ha colpito anche le autorità ecclesiastiche. Non si fa vivo nessuno. Ce ne andiamo. I turisti stupiti, noi consapevolmente sconsolati. Nessuna comunicazione.
Non si sfugge: che arrivi da questa o da quella sponda del Tevere, c’è sempre la sòla romana in agguato.
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