Ci chiediamo perché

Baroccoccò
 

Conferenza stampa di presentazione del Festival  della danza spagnola e del flamenco. Ambasciata di Spagna, Sala Rossa a Palazzo Borghese.

Un cortile sontuoso, uno scalone a chiocciolone e questa sala sovraccarica di stucchi, lampadari, specchi, tappezzerie e vecchi mobili scricchiolanti e malfermi, tanto è vero che uno dei giornalisti ha rischiato di precipitare da una poltroncina a cui è crollato lo schienale.

Apre la Ministra Plenipotenziaria scusandosi perché parla male l’italiano; e la fa breve. Seguono gli altri, fra cui el señor Dosal, spagnolo, direttore del Parco della Musica che, con il suo brillante eloquio italo-iberico illustra (come sempre pittorescamente) l’interessante progetto.

 

Prima di tornarcene a casa storditi da tutto il baroccoccò dell’arredamento e della cerimonia, ci chiediamo perché un ministro destinato a rappresentare il proprio paese presso un’altra nazione, non debba, come requisito assolutamente prioritario, essere padrone fino all’estrema virgola della lingua di quest’ultima.

S. Luigi dei Francesi 

 

Ultimo concerto del RomaFestivalBarocco di Michele Gasbarro, con uno di quei programmi che fanno temere il sonnellino: “La musica sacra romana nei primi anni del ‘700”. Composizioni di Cannicciari, Bencini, Pasquini, Giorgi, Casali, Zamboni, Costanzi, Colombiani; nomi a noi, e ci è parso anche al resto del pubblico, sconosciuti.

Invece niente pennichella! Il Concerto Romano, il coro Emelthee e il direttore Alessandro Quarta ci hanno strappati fin dal primo brano all’immanente torpore, e non ci hanno più mollati trasportandoci al finale grondante di applausi.

Davvero bravi a dare vita a questo genere di musica sempre a rischio di un filologico accanimento terapeutico.

Aiutati nell’impresa anche dalla buona circolazione delle onde sonore fra gli angiolotti arcibarocchi arrampicati su per gli altari e aggrappati ai pennacchi della cupola.

 

Una volta in strada ci chiediamo perché Santa Madre Chiesa che è tanto astuta nel dribblare l’IMU sui suoi tesori immobiliari, non lo è per niente nello sfruttamento di un altro tesoro a sua disposizione e a costo zero: l’immenso repertorio della musica sacra; visto che lo esclude sistematicamente (e stupidamente) dalle sue funzioni, sostituendolo con quelle orribili canzonette, per di più  male eseguite da suorine con le chitarrine e chierichetti coi bonghetti. 

Basilica dei Santi Cosma e Damiano

 

Concerto straordinario “Un Natale con Bach e Palestrina” organizzato da Giorgio Carnini. Musica ed esecutori di alto livello, come da aspettativa. Chiesa antichissima spruzzata anche lei di barocco (vedi altare).

Nel dopo concerto si brinda nella sacristia, ricavata secoli fa dentro i possenti tufi del Foro della Pace, mentre il vicerettore, croato, ci diverte con i suoi racconti sulla guerra quotidiana che la comunità multietnica dei suoi frati combatte contro ratti e gabbiani nel deserto urbano del Foro Romano.

Anche in questo caso ci prende la solita curiosità e ci chiediamo perché ormai non ci siano praticamente più italiani nelle alte o basse gerarchie delle parrocchie. Evidentemente quella che era la più vecchia ed efficiente istituzione del mondo non riesce più a rendere socialmente desiderabile, qui in casa nostra, una carriera fra le sue braccia. 

 

E poi, dopo queste serate culturali, magari seguite da uno spaghetto e qualche buon bicchiere, naturalmente si torna verso casa, e si finisce col passare sempre da lì, davanti a questa cosa che è talmente bella da risultare addirittura insolente.

Uno che ammira un’opera d’arte forse non dovrebbe porsi dei problemi di statica o di ingegneria; eppure ogni volta noi ci chiediamo perché quel pesantissimo plurimillenario obelisco riesce da quattro secoli a stare in piedi senza cadere, sospeso sul vuoto del suo basamento.

 

 

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