Fondazione Cerasi
Questa goffa trippellona, opera di Antonietta Raphael e da lei battezzata “Fuga da Sodoma”, ci riceve al pianterreno di Palazzo Merulana dove ci viene offerta in questi giorni, in una specie di museo che è in realtà un salotto artistico, la collezione Cerasi, una raccolta di opere italiane, principalmente del primo novecento, fino ad ora privata, adesso messa a disposizione dei romani.
Nella raccolta, benissimo organizzata da Fabio Benzi, fra i tanti presenti, Cambellotti, De Chirico, Casorati, Donghi, Severini e altri, ci sono anche alcuni artisti con opere di prima della
metamorfosi; uno per tutti Capogrossi, che qui figura con un paio di quadri figurativi molto belli (come si sa poi perse la brocca e si fissò sui suoi famosi pettini, senza più cambiare
soggetto).
Al quarto piano c’è una grande sala riunioni con le finestre sfiorate dai platani di Via Merulana, e in cima a tutto si stende sotto il sole la solita gloria dei palazzi romani: una immensa terrazza che si affaccia sugli alberi, sul cielo e sulla lontana facciata, con obelisco aggiunto, di San Giovanni in Laterano.
Ci pare anche carino sottolineare che questo bel posto non ci è costato un euro (a noi cittadini) perché è il risultato di una botta di mecenatismo della famiglia Cerasi, che ha restaurato quella che era una baracca cadente e l’ha riempita dei begli oggetti che prima si teneva in casa.
Se non fosse per l’infernale difficoltà di parcheggio (lo sappiamo che si manifesta in tutta Roma, ma questa zona appare particolarmente colpita dal morbo) ce la sentiremmo di consigliare una visita agli amici. Oltretutto, appena entrati, c’è un simpatico baretto con un paio di tavolini all’aperto. Merita.
Omaggio alla resistenza.
Degli esecutori, ma anche di noi del pubblico. Ecco la spiegazione. L’evento fa parte del Festival Lituano Flux di cui abbiamo scritto la settimana scorsa. Ci pare di avere espresso allora
qualche perplessità sul genere di piatti che ci sarebbero stati serviti. Avevamo ragione da vendere.
Lo spettacolo si svolge come segue: Cortile di Palazzo Braschi; la giornata è tiepida, la location splendida, niente da dire. Però poi c’è l’esecuzione: dodici minuti, durante i quali il clarinettista, sfruttando la respirazione circolare (chissà come fanno, un’invidia!) emette sempre la stessa nota, un Mib basso, senza fermarsi mai, mentre la povera ballerina, per la stessa durata rimane sulle punte girando lentamente su sé stessa come una figurina da carillon (amiche che hanno studiato danza ci parlano di una vera tortura). Niente altro. La performance ovviamente si intitola “Pirouette”.
Come abbiamo ribadito più volte, la benedizione di tutto quello che succede a Roma è che, anche se lo spettacolo fa schifo, la città, no. Cioè, sì, ma in qualche modo si salva lo stesso. E allora non importa quanto hai provato o cosa vuoi raccontare, e come. Il che è nello stesso tempo anche una maledizione perché, allora, a che serve studiare per fare meglio?
Capite? Basta uscire dal cortile di cui sopra, imboccare un passaggio, sbucare da un portone per trovarsi davanti uno spettacolo come questo. Si chiama Piazza Navona.
E’ chiaro che allora va bene tutto.
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