Anche se non una per ogni giorno dell’anno, come dice la leggenda, le chiese di Roma sono comunque parecchie. E sono anche piene di belle cose, e di cose strane.
L‘idea di andarle a cercare, queste cose belle e strane, ha cominciato a provocarci un certo pizzicorino qualche giorno fa a San Paolo fuori le Mura, una cattedrale che è un immenso bosco
di colonne di tutte le dimensioni e gradi di lucidatura.
Era in corso un concerto del festival “Un organo per Roma” di Giorgio Carnini, con un programma di quelli che ti inzuppano di emozioni: il Requiem di Faurè, un’opera che accompagna la morte con malinconia e rimpianto, mai con ira. E poi l’Alleluia di Haendel, che è invece un trionfo fatto apposta per concludere un concerto corale in una chiesa; un po’ come, diciamo, una serata di Vasco Rossi che per forza va sigillata con la sua “Vita spericolata”.
Ma non è stata la musica a farci venire l’idea. Ci è bastato alzare gli occhi al magnifico mosaico che riempie il catino dell’abside per farci affacciare alla memoria il geniale etologo Desmond Morris, quando ci spiega che “…le manifestazioni religiose consistono nella riunione di gruppi numerosi di individui che compiono ripetute e prolungate esibizioni di sottomissione intese a placare un individuo dominatore il quale assume forme variate che hanno sempre in comune tra loro l’elemento di un’immensa potenza”. (La scimmia nuda, pag. 191).
E infatti eccolo lì, Papa Onorio III, in rappresentanza di sé e del gregge dei suoi fedeli, ridotto alla dimensione di una tartarughina (però con il manto papale sul guscio) inginocchiato accanto al piede di un enorme Cristo, al quale è dedicata quest’opera maestosa; piccolo, insignificante, sottomesso appunto, di fronte alla potenza del dominatore.
Bisogna dire però che il racconto della divinità e del suo rapporto con il gregge non è sempre coerente con lo stesso schema ideologico ed estetico e cambia con il passar del tempo e con l’artista (e, chiaro, anche con il suo committente).
Per esempio, a S. Agostino ci imbattiamo in un Cristo che è il contrario del precedente: bruno, bruttino, rachitichello e per niente maestoso, ma dolente,
proprio come ce lo ha raccontato anni fa Pasolini nel suo Vangelo.
C’è da chiedersi come mai i committenti si siano accontentati di un’opera quasi blasfema come questa, davvero fuori dell’iconografia del periodo, secondo cui Gesù doveva essere un giovanottone nordico, biondo e muscoloso.
E anche glabro, mentre questo ha ascelle, torace e perfino addome ben pelosi.
Ma le stranezze continuano. Ecco, nella profonda cripta di S. Maria dell’Orazione e Morte a Via Giulia, una confraternita che si occupava di recuperare e dare sepoltura ai cadaveri degli annegati e dei morti ammazzati, all’epoca abbondanti, a quanto pare, per le strade di Roma, un documento un po’ inconsueto.
Si tratta di un certificato di decesso stilato non su una vecchia pergamena o su un polveroso registro parrocchiale, ma direttamente sul defunto, anzi, più precisamente inciso sul suo cranio.
E, per concludere, a S. Maria della Vittoria, sul pavimento della Cappella Cornaro e sotto gli occhi estatici della Santa Teresa del Bernini, un mezzo morto (letteralmente) che se la balla con stile.
O forse prega? L’incertezza è d’obbligo con uno come il Cavaliere Gian Lorenzo che si faceva beffe degli interdetti del Concilio di Trento e ritraeva i suoi soggetti come gli pareva: sante in un rapimento potenzialmente equivoco e scheletri tagliati a metà ma lo stesso scatenati in mosse di danza.
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