Mercoledì 19 dicembre. Giornata di sole primaverile. A Caracalla per una bella iniziativa: la visita alle Terme accompagnata dalle musiche di Alvin Curran, diffuse con effetto molto emozionante
perché difficile individuarne la fonte, da misteriosi altoparlanti nascosti fra i ruderi.
Sottofondi musicali minimalisti, tappeti sonori prolungati, versi di animali, fra cui, dichiara il compositore, anche l’ululato della lupa di Roma.
Un altro, come spesso ci accade di constatare durante gli eventi all’aperto, è l’ululato che si fonde sempre bene con qualsiasi tipo di musica: la sirena di un’ambulanza, dei pompieri o della polizia, con il suo richiamo un po’ minaccioso, un po’ lugubre, ma sempre di lontananza, quasi un memento della caducità delle cose (e dei suoni).
Ritorniamo sulla terra. Il pensiero che una delle massime esibizioni di generosa magnificenza, di arte e di potere, da parte dell’imperatore di Roma, l’uomo più importante dell’antichità, fosse un bagno pubblico da mettere a disposizione del popolo molto ci stupisce e nello stesso tempo ci racconta quante cose sono cambiate negli ultimi due millenni.
Acqua corrente calda e fredda, latrine efficienti, riscaldamento centralizzato; altro che pitali fetidi e tossici bracieri! Quotidianità per noi scontate e ormai diventate individuali e private, che all’epoca erano il massimo del lusso e quindi della gratitudine che l’imperatore poteva pretendere dalla sua gente regalandogliele. E naturalmente, essendo il massimo del lusso erano abbellite con tutto il meglio che il mondo di allora poteva dare a Roma. Niente anonime piastrelle bianche o rubinetti cromati come oggi. No: i saloni erano pavimentati con marmi rarissimi, ornati di statue stupende, immense colonne monolitiche e sontuose vasche di granito. Ori, argenti, bronzi dappertutto.
Le Terme di Caracalla. Dieci anni per stiparle d’arte e quindici secoli per svuotarle, abbastanza da riempire i musei di mezzo mondo (e chissà poi quanta altra roba è andata distrutta).
Certo adesso sono rimasti solo i muri di mattoni; non c’è più neanche un frammento di materiali preziosi. Eppure, anche a confronto con grandi costruzioni posteriori, un palazzo rinascimentale, una chiesa barocca, belli, ricchi, armoniosi quanto vogliamo, qui la suggestione è un’altra, perché questi muri, questi archi cariati, queste volte in bilico hanno un ornamento in più: il tempo.
Stesso giorno, stesso sole.
Impossibile resistere alla notizia: in prestito dall’Hermitage, al Rhinoceros di Fendi è arrivato l’adolescente di Michelangelo.
Il nuovo spazio, di cui abbiamo già parlato, è proprio accanto all’arco di Giano, al Velabro, una zona di grande bellezza archeologica, specialmente con il sole che brilla.
Inservienti gentilissimi, ingresso libero, grandi pannelli con informazioni accuratissime, ricche di cenni storici e biografici. E in più, nel testo, l’aggiunta di un curioso accenno alla mancanza di genitali della statua, il che, prosegue lo scritto, ha creato confusione nel cercare di capire i riferimenti dell’opera (il classico Spinario?) o di interpretarne il messaggio nascosto.
Confessiamo che il nesso fra genitali mancanti e qualunque ipotesi di interpretazione ci sfugge, ma chi siamo noi per giudicare?
L’adolescente è esposto, con fine scelta coreografica, da solo al centro di una saletta scura, appena illuminato da un candelabro e guardato a vista da due Rambi col pistolone.
Superflui ma di grande effetto.
La statua è più piccola di come ce la aspettavamo. E’ bella, non per la sua finitura, che non c’è, ma per l’impostazione del movimento e della tensione muscolare, che invece c’è tutta, e ci convince che è proprio di Michelangelo, un Michelangelo non finito, come in giro ce ne sono tanti altri.
La faccenda dei genitali…mah. Comunque, con tutto il suo serioso tono accademico, un po’ fa ridere.
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