Nei film di guerra l’ultimo plotone è quello che balza fuori della trincea con più coraggio per andare all’assalto e si ritira dopo gli altri dalla posizione conquistata e poi perduta; è quello
che riceve le medaglie al valore e soprattutto risulta immune ai colpi dei cecchini.
Nei film.
Nella vita non è proprio così. La trincea può anche proteggere, con l’assalto si riesce a cavarsela, con la ritirata salvare la pelle, forse. Ma con il cecchino non si scherza. Quello ha pazienza e mira infallibile, e alla fine non sbaglia mai il colpo.
Questo pensavamo il pomeriggio del 25 settembre, seduti nel bellissimo cortile di palazzo Firenze dove prendevano forma un festeggiamento e una commemorazione. In onore di un personaggio che proprio quel giorno avrebbe compiuto 97 anni e che nei 65 realmente vissuti è stato importante per il cinema italiano. Regista, attore, sceneggiatore: Luciano Salce. Suo figlio Emanuele a fare gli onori di casa e un bel gruppo di critici a raccontarcelo.
Insieme a lui c’erano tutti gli altri figli (e le vedove) dei grandi del cinema coetanei di Salce, con cui lui aveva lavorato, litigato, flirtato e dato vita a una stagione, quella sì immortale.
Per questa generazione esisteva, dagli anni cinquanta in poi, un tempio che era anche un salotto, un pensatoio, un tribunale ma soprattutto una mensa.
Passo indietro e spiegazione.
La boheme. Nei primi anni cinquanta l’oste Otello Caporicci, apre una trattoria a Via della Croce, a Roma, e la chiama “Otello alla Concordia”. Il proprio nome di battesimo, ovvio, insieme a una dichiarazione della sua filosofia che molto contribuirà in seguito a mantenere vivi (proprio nel senso alimentare) tanti futuri geni.
Nasce un’istituzione che diventerà storica. E’ il dopoguerra e tutti sono poveri, ma particolarmente poveri sono un gruppo di clienti che riempiono il tavolone sociale. Quasi tutti, dopo aver mangiato e bevuto, non hanno i soldi per pagare. L’oste fa credito. Fra gli spiantati ci sono pittori e scultori, e quelli lasciano un’opera. Gli altri, gente dello spettacolo, attori, registi, sceneggiatori e tecnici, per il momento non possono che lasciare promesse per il futuro.
Questo futuro poco alla volta arriva. Molti diventano famosi. Vanno a lavorare in giro per il mondo, non ritornano per lunghi periodi e poco alla volta il tavolone esce dalla memoria.
La trattoria è come la vita. All’inizio, giovani e poveri, si sta tutti insieme. Pochi soldi e molto bisogno di compagnia, cibo, confronto. Poi arrivano successo, denaro, riconoscimenti. Elementi
che sfaldano il gruppo. Ma basta aspettare, perché con la vecchiaia si ricrea lo schema iniziale: il mondo tende a dimenticare, il successo è ridotto alle commemorazioni, ai premi alla carriera,
alle presidenze dei festival. Da giovani poveri a poveri vecchi con una più o meno lunga permanenza nella fase di adulti di successo.
Le figlie di Otello ereditano la trattoria, e parecchi anni fa una di loro, Gabriella, in memoria del padre, oste e mecenate, riapre ogni mercoledì sera il tavolone sociale.
E ricomincia tutto. Si riformano il cenacolo e il plotone. Di nuovo tutti insieme; non più poveri ma carichi di onori e con qualche lira in tasca; meno occhio al futuro, più soddisfazioni dal passato.
Tutti con gagliardi appetiti, e bollenti spiriti nelle partite a scopone che seguono la cena. Cattiverie, ricordi, punzecchiature. Di tanto in tanto qualche posto a tavola rimane vuoto: è l’inevitabile ricambio.
Noi abbiamo cenato ogni mercoledì degli ultimi quarant’anni a quel magico tavolone ed essendo riusciti finora a evitare il cecchino dalla mira infallibile, vogliamo, così, tanto per gradire, fare una lista di alcuni dei nostri commensali che invece sono caduti, colpiti sul ciglio della trincea. Ugo Gregoretti, Ettore Scola, Giorgio Arlorio, Vittorio Gassman, Ugo Pirro, Mario Monicelli, Tonino Delli Colli, Furio Scarpelli, Gillo Pontecorvo, Piero De Bernardi Silvana Pampanini, Elsa Martinelli… Il meglio del cinema italiano, anzi, “Il Cinema Italiano”.
E’, anzi era l’ultimo plotone di “Otello”.
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