Aquileia
9 novembre. “Aquileia 2200, Porta di Roma verso i Balcani e l’Oriente” al Museo dell’Ara Pacis. Articoloni su tutti i giornali che ci hanno fatto venire l’acquolina per una mostra che prometteva di riempirci un vuoto su un argomento per noi affascinante e quasi magico: una città e porto romano, al tempo importantissimo, sperduto fra le nebbie del nord, più volte distrutto dalle invasioni barbariche, risorto e poi definitivamente scomparso nel nulla.
Non ne siamo usciti un gran che soddisfatti.
L’allestimento, le luci, le didascalie sono ok. Il contenuto no. I pezzi originali sono pochissimi: un bel bronzo: la Testa del Vento, due frammenti di mosaico, un ritratto di anziano e un S. Pietro e Paolo in marmo. E tanti oggettini di ambra: anellini, foglioline portafortuna, giocattolini, amuletini, tutti carinissimi, intendiamoci.
Poco, ci pare; perché il resto dello spazio lo riempiono 43 grandi, belle foto in bianco e nero (ma foto!) di Elio Ciol, delle rovine della città, più 23 bei calchi (ma calchi!) in gesso di marmi che forse avrebbero potuto essere presenti in persona, e un’altra dozzina di belle foto a colori (ma foto!) di mosaici. Insomma: riproduzioni.
Il nostro pensiero, forse gretto, è che, con il costo del biglietto per una famigliola, la medesima avrebbe potuto comprarsi un bel libro fotografico e guardarsi le stesse cose più comodamente a casa. Ci riferiamo in particolare agli oggettini di ambra, i quali sono talmente piccoli che si captano meglio in fotografia che nelle vetrine di un museo.
(A proposito di piccolezza, avete mai provato a scendere nei sotterranei di Palazzo Massimo dove c’è la raccolta numismatica? Alla terza vetrinetta cominciano a lacrimare gli occhi, alla sesta iniziano le visioni mistiche, alla nona siete completamente ciechi e tocca farvi accompagnare all’uscita).
Intendiamoci, anche una mostra, diciamo così, non del tutto riuscita è molto meglio di niente, però sull’operazione incombe l’ombra del sospetto che si sarebbe potuto fare meglio.
Ma, in fondo, chi siamo noi per criticare?
Il Signore dei Tubi di Piombo.
E’ successo di nuovo! Dopo quattro fregature eravamo sicuri che tutto sarebbe andato come ci si poteva aspettare in una civile comunità del ventunesimo secolo.
E invece no! L’Italgas, questa entità che in passato abbiamo definito misteriosa e imprevedibile, stavolta ha superato se stessa.
Forse i lettori ricorderanno il nostro articolo del 14 ottobre in cui raccontavamo i quattro appuntamenti che nell’ultimo anno ci ha dato l’Italgas per venire a cambiarci i contatori a casa.
Sorprendendoci regolarmente con la sua superprofessionale inefficienza: una volta semplicemente latitando all’appuntamento; le altre con tre dichiarazioni fotocopia dei tecnici che ogni volta se l’erano sbrigata con le seguenti parole: “Dottò, la sostituzione nun si può fare perché ci stanno i tubi di piombo”.
Chiuso? Niente affatto. Tutto ricomincia il 16 novembre 2019. Arriva la quinta ormai familiare lettera che annuncia la consueta visita dei tecnici per sostituire il solito contatore, rinforzata dal cartello di ordinanza che troviamo attaccato sul portone (foto).
Pur non credendo ai nostri occhi, ci prepariamo all’evento.
Ore 8: levataccia e attesa, sempre più spasmodica, fino alle 12, quando scade il tempo. Ormai ci sentiamo liberi di dedicarci al bucatino delle ore 13 alla trattoria sotto casa. Invece, dopo una mezzoretta trilla il campanello. “Chi è?” E’ il tecnico dell’Italgas. Appare un signore gentile, solo e stremato dalla pioggia e, immaginiamo, dal vano girovagare fra un’utenza e l’altra.
Apre gli sportelli a muro, fotografa i contatori, scarabocchia qualcosa su un quaderno e alle nostre rimostranze (no, in realtà erano solo osservazioni, e anche blande: ci dispiaceva per quel poveruomo) ci fa notare che le cinque foto fatte al nostro apparecchio in un anno non sono neanche tante: ce ne sono in giro, dice, di molto più famosi e fotografati.
Poi se ne va, non potendo fare niente per noi perché, indovinate? “Ci sono i tubi di piombo e il contatore non lo posso sostituire”.
Il nostro desiderio più grande, a questo punto non è più di avere un contatore nuovo, ma che questa infinita saga continui e continui e continui.
E noi qui per l’eternità a raccontarla, come Omero, ai figli, ai nipoti, ai pronipoti…
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