Giovedì 6 febbraio, in vacanza nei mari del sud. Il sole illumina le palme mentre una brezza tiepida accarezza il nostro corpo adagiato sulla candida arena, una piña colada nella mano sinistra, un avana nella destra e neanche una preoccupazione in testa.
Mica male, eh?
Poi succede che un brivido gelato ci increspa la nuca e ci sorprendiamo a stringere la sciarpa intorno al collo mentre la tramontana taglia, malgrado il sole cristallino. L’inquadratura si allarga, la macchina da presa scende lungo i tronchi a scoprire le mura di un maestoso edificio barocco dall’aria per niente caraibica.
Ah, allora lo scherzo è finito. Va bene, anche perché, come da piccoli ci dicevano, ogni bel gioco deve durar poco.
Le palme sono autentiche ma, invece di crescere sulle spiagge tropicali, allungano il collo nel chiostro del Palazzo dei Domenicani, a un passo dalla basilica di Santa Maria sopra Minerva, a due
dal Panteon.
A Roma, è chiaro; e noi siamo lì per l’incontro mensile del “Salotto Romano”, padrone di casa Sandro Bari. E’ un appuntamento un po’ particolare che seguiamo perché ci informa attraverso le chiacchierate dei Proff. Staccioli e Pavia su curiosità e notizie di Roma antica, sopra e sotto terra, ci fa sorridere (qualche volta anche ridere) per le poesie in romanesco dei poeti dilettanti, ci solletica i padiglioni con stornellate estemporanee e per di più ci permette di passare un paio d’ore nella bellissima sala capitolare dei frati, di passeggiare sotto le volte magnificamente affrescate del chiostro, di affacciarci nel giardino dove spuntano le due palme che ci hanno beffato all’inizio (saranno alte una ventina di metri: una cosa incredibile!), di smuovere con la scarpa l’erba, sotto la quale qualche secolo fa trovarono, caduto, un piccolo obelisco di granito rosa che, rialzato e aggiustato, fu montato sulla schiena di un piccolo elefante, proprio lì fuori, in Piazza della Minerva.
Queste zampotte, queste chiappone, questa coda che sembra una proboscide nel posto sbagliato appartengono all’elefantino di marmo che regge, per l’appunto, l’obelisco ritrovato in cortile; progettato da Gian Lorenzo Bernini che, a quanto si racconta, aveva in grande antipatia i Domenicani.
All’epoca sarebbe stato a dir poco imprudente manifestare simile sentimento verso quel potentissimo ordine (che fra l’altro aveva in appalto l’inquisizione), e allora il nostro che, in quanto artista, poteva permettersi qualche capriccio, osò, puntando il posteriore dell’elefantino portaobelisco proprio in faccia (il posteriore…in faccia, capito?) al portone d’ingresso del loro palazzo.
Lo scherzo non fu capito, oppure benevolmente ignorato: fatto sta che a Gian Lorenzo non accadde nulla.
A questo punto anche a noi non sarebbe rimasto niente altro da raccontare della giornata.
Se non che, di ritorno a casa, con il sole ancora alto, la nostra cronaca si è arricchita di un guizzo di puro compiacimento estetico - fotografico.
Non abbiamo resistito, mentre attraversavamo Piazza Navona, a questo controluce dell’obelisco.
Tutta colpa del Cavalier Bernini!
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