Ranocchie e tartarughe. A Piazza Mincio, la Fontana delle Ranocchie finalmente ripulita e liberata dal mantello di calcare (da qualche parte abbiamo letto addirittura 17 cm di spessore!), dal muschio, dai licheni e altre porcherie che la nascondeva da sempre, è lì, bella bianca, con tutte le bocchette che buttano regolarmente e neanche una cicca nel bacino. Ottimo lavoro, era ora.
Però forse sarebbe stato meglio lasciarglielo quel mantello perché le sculture (su disegno di Gino Coppedè, ma non sappiamo da chi eseguite) che si sono manifestate ci hanno un po’ deluso per la loro approssimazione. Quelle mani accennate, quei lineamenti abbozzati. Tutto sembra buttato giù in fretta e poi lasciato a metà come se nessuno avesse avuto più voglia o tempo di andare avanti con le rifiniture.
Ovvio che il richiamo, è alla fontana delle tartarughe di Piazza Mattei; però che differenza di livello. Certo quello è bronzo e questa è una pietra porosa che poco si presta alle raffinatezze dello scalpello. Quella vanta la mano di Tommaso Landini (e si dice anche di Bernini) e questa invece non vanta che quella, ignota, dello scalpellino che ci ha lavorato.
Detto tutto ciò, la vasca e le sue ranocchie sono carinissime, come carinissime sono le villette, le scalette, gli arconi, le torricelle, i balconcini, i lampadari di ferro battuto che, tutti insieme, creano quel villaggio un po’ tirolese, un po’ disneyano dai romani affettuosamente chiamato (e mostrato con orgoglio agli amici venuti da fuori) Quartiere Coppedè.
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