Nella scala della fauna urbana i pedoni vengono all’ultimo posto; penultimi sono i ciclisti. E, non ci si crede, da parte di questi c’è in corso una guerra fratricida contro quelli.
La segnaletica ufficiale è chiara: in città, da una parte ci sono le piste ciclabili, dall’altra ci sarebbero le aree pedonali, come Piazza Farnese con le sue magnifiche vasche di granito recuperate dalle Terme di Caracalla, circondate da una civile ringhiera, ideale per appoggiarci le chiappe e leggere beatamente il giornale al sole.
Seh! Trovarlo un piccolo spazio fra queste incivili biciclette incatenate al ferro! Che se ti avvicini, prima ti strappano i calzoni coi parafanghi e poi coi pedali ti graffiano gli stinchi. Roba da tetano. Fra l’altro, a giudicare dai rifiuti fossili accumulati nei cestini, si tratta di parcheggi a lunga durata.
Riservati ai pedoni, avremmo anche altri spazi, che si chiamano opportunamente marciapiedi e non marciaruote. Pochi sono i vicoli del Centro Storico che ne sono dotati: lembi di salvezza dal traffico, e non ci pare proprio che la truppa nemica li rispetti. Pali, fioriere, velocipedi; non si passa.
Va bene: rispettiamo la figura ecologica del ciclista non inquinante, sorvoliamo sul soprassalto che ci provoca uno di loro quando, silenzioso e letale, ci arriva addosso da dietro nel vicolo e si insinua fra noi e la mamma con carrozzina, facciamo finta di niente quando dal nulla, di sera, col buio appare il pedalante rigorosamente vestito di nero e senza luci. Va bene.
Il rischio è che alla fine, politicamente scorretti ma umanamente esasperati, ci si trovi a invocare quella selezione naturale di cui si prende cura il traffico sfoltendone (a caso) il numero.
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