L’appassionato o anche il semplice curioso che ammira un’opera d’arte piazzata in alto su un edificio, la guarda da terra, giusto? E allora ci chiediamo perché, o meglio ancora, per chi lavorano i pittori, gli scultori, i decoratori che creano opere che lo spettatore normale non vedrà mai neanche col binocolo (che comunque non esisteva fino all’altro ieri).
La domanda ci è germogliata in testa qualche giorno fa che eravamo ai Mercati Traianei per la mostra “Napoleone e Roma”, che non ha catturato la nostra attenzione, andata invece alla collezione di meravigliosi frammenti di scultura romana presenti nelle sale dei Mercati.
Come questo fotografato: un fregio del tempio di Venere, dal Foro di Cesare, che in origine era issato su un cornicione a una decina di metri in verticale sulla testa del visitatore, come mostra il poster illustrativo del museo. Per cui i paffuti piedini di questi putti, così affettuosamente modellati, erano in ogni caso coperti alla vista di chi guardava da giù a causa della sporgenza su cui poggiavano. Che senso poteva avere allora farli così carini se non si vedevano neanche (a meno di arrampicarsi su per la facciata)?
L’unica irrazionale ma poetica spiegazione è che venti secoli fa, come nel dugento, o ieri, gli scultori, i pittori, i decoratori dei templi o delle chiese lavoravano perché la loro opera fosse sotto gli occhi del Signore più che sotto quelli dei loro simili.
Un pensiero elevato, certo, che però a noi osservatori laici di oggi appare irraggiungibile, proprio come la vista delle opere.
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