Gita fuori porta. Appena scavalcato il crinale scendiamo nella valle, verde di vigneti così perfetti da formare un tappeto; là in fondo, con le braccia spalancate in movimento, un altissimo stelo bianco ci seduce di colpo con la sua bellezza essenziale: è la grande pala eolica.
E’ stato come la prima volta che abbiamo visto il Redentore in cima alla montagna, a Rio. Lo conosciamo tutti, no? Così grande, così bianco con le braccia spalancate, ferme. Non proprio un’opera d’arte, ma di sicuro un’immagine forte. Qui, nella valle dei vigneti ci è apparso un altro Redentore, anche lui benedicente. Benedicente cosa? Ma l’oggi, naturalmente.
Le nuove tecnologie, i nuovi materiali che permettono lo sviluppo di una nuova estetica. Un massiccio ponte romano di pietra è una grande opera, bella e solida, certo. Ma un moderno viadotto autostradale, trecento metri sospesi fra le bocche di due gallerie, un nastro di cemento chiaro appoggiato su piloni sottili è uno spettacolo (impossibile settant’anni fa) meraviglioso. E per niente offensivo per la natura. Se una cosa è bella si armonizza all’istante.
Certo uno deve saper guardare con occhi puliti.
L’albero degli zoccoli, la cascina, le mucche, i braccianti chini sulla terra avara; il fascino di tutto questo non è che immaginazione camuffata da ricordi d’infanzia di intellettuali vecchi e smemorati: non ha niente a che fare con la vita vera. Va’ a chiederlo al contadino, che oggi ha finalmente un trattore, una casa con doccia e riscaldamento e non deve accontentarsi più di polenta e salame, e vedrai se non è soddisfatto. L’artigianato nasce dai bisogni della sua epoca; appena inventata la macchina per fare il mestolo di stagno, quello di legno finisce nella pattumiera (o nei mercatini del modernariato).
Leggiamo sul Corriere della Sera del 18 agosto 2011 di alcune tribù dell’Amazzonia a cui il governo brasiliano non permette contatti con nessuno. Per tutelarle, dicono, dai rischi della civiltà. Noi siamo convinti che ogni singolo indio di quelle tribù sarebbe arcicontento di farsi un bel bagno in una vasca senza piranha, di avere a disposizione un vermifugo per i suoi bambini e qualcosa di decente da masticare per la famiglia. Rinunciando in cambio a tutte quelle cose pittoresche, artigianali ma soprattutto primitive che piacciono tanto agli etnologi da poltrona, mentre lui non vede l’ora di liberarsene e civilizzarsi, come d’altra parte abbiamo fatto tutti noi neanche troppo tempo fa.
Sempre a proposito delle presunte meraviglie del passato, ci fa ridere la lettera di un lettore nella posta di Augias (La Repubblica, 4 marzo 2012) sui compensi degli artisti. Per cosa si indigna il nostro babbeo? Ecco: “Sono convinto che le alte remunerazioni per un artista siano il frutto di un fenomeno perverso. Beethoven, Mozart e altri di vero talento hanno prodotto capolavori pur essendo in difficoltà economiche, ma ciò non li ha fatti desistere dall’offrire sé stessi alla passione del proprio lavoro”.
Che scoperta. Non è che fossero indifferenti alla mercede, è che non gli riusciva di averla. Mozart e i suoi contemporanei erano poco più che camerieri al servizio di un nobile. Beethoven provò a emanciparsi, senza gran successo; Chaikowski ci riuscì un po’ meglio; Puccini o Morricone hanno definitivamente perfezionato il meccanismo. Anche perché per fortuna sono cambiati i tempi.
Ma non è che la tutela del diritto d’autore abbia abbassato il livello della creatività. Il talento, se c’era, è rimasto. Quello che è migliorato è la qualità della vita. Gli artisti ringraziano. I cretini invece pensano ancora che senza miseria non c’è arte.
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Rosa (mercoledì, 29 dicembre 2021 23:22)
Bene!
Rosa (mercoledì, 29 dicembre 2021 23:23)
Li hai messi tutti sul blog?