Il seno di Paolina. Bonaparte, naturalmente; coniugata Borghese. Il pannello illustrativo dice che la ragazza, durante il suo breve soggiorno romano, con la sua “condotta disinvolta” scandalizzò tutti e fece franare il matrimonio con il principe Camillo.
Il Museo Napoleonico, uno dei pochi gratuiti della città, è benissimo organizzato, pulito ed elegante, con l’unica pecca, comune a molte simili istituzioni italiane, di un’idea di base punitiva: puoi starci quanto vuoi, girare e fotografare tutto, ma guai a pensare di riposarti un attimo. Una poltroncina, un divanetto: niente. In piedi, ché la cultura è fatica.
Molti i ritrattini, le chincaglierie, i costumi fine sette/inizio ottocento. Niente di artisticamente rilevante. Curiosità sì, parecchie. Fra cui un calco del seno destro di Paolina fatto da quel vecchio marpione di Antonio Canova in preparazione della famosissima statua che ora sta al Museo Borghese.
Grande scultore il nostro, di sicuro; ma nulla ci toglie dalla mente che, con la scusa dell’arte, con le sue modelle un po’ ci marciasse. E che Paolina un po’ ci stesse.
Il seno della Madonna. Passiamo a un argomento altrettanto intimo, ma di sicuro privo di con-notazioni peccaminose: l’allattamento.
E che seno, che allattamento! Parliamo della Madonna, del Bambinello, di anatomia e, già che ci siamo, dello stupore che ci prende all’osservare le Madonne allattanti della pittura prerinascimentale.
Sì perché i Bambinelli (spesso dipinti come adolescenti ben oltre l’età dello svezzamento, ma sempre miniaturizzati alla taglia di un poppante), stanno attaccati a sacre mammelle che, fra drappi e manti, fanno capolino da una spalla, da un’ascella, da una clavicola, in ogni caso da punti del corpo dove normalmente c’è qualcosa di ben diverso.
Forse questa indifferenza verso la realtà serviva a rendere innocua per il fedele maschio la visione di un organo che, papi o non papi, continuava a mantenere il suo richiamo più terreno che spirituale.
Tanto è vero che, qualche anno più tardi, questa codificazione del pudore che all’epoca non era ancora chiara né agli artisti né agli ecclesiastici committenti, fu imposta dal concilio di Trento, lo stesso che fece mettere i mutandoni ai nudi di Michelangelo nel Giudizio Universale. E da allora, nell’arte sacra, addio sensualità, se non contrabbandata da qualche artista malizioso e furbacchione (vedi Bernini, e altri) come estasi mistica.
Rotondità sono anche questi glutei antichi romani, ancorché maschili. Sono quelli del Meleagro del Museo Altemps.
Roba, appunto, di prima del Concilio di Trento, con il quale questo genere di rappresentazione appartenente all’eredità classica fu declassato da concetto estetico (esaltazione del bello armonioso, privo di colpa proprio perché bello) a peccato vero e proprio, così giudicato dalla nuova mentalità sessuofobica che associava il nudo all’idea di colpevole erotismo.
Che classe! Soprattutto se paragonati alla miserabile Spigolatrice, recente reginetta dei social proprio per merito delle sue natiche. Le quali, insieme con lei, anzi, con il suo autore, dall’arte sono uscite per entrare prepotentemente nel cattivo gusto.
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