Ci rifacciamo a un nostro articolo di dieci anni fa, il 2011. Dieci anni dopo o dieci secoli prima i problemi si ripresentano uguali, evento dopo evento; magari cambia la tecnologia, ma loro (i problemi) sono sempre lì che ricorrono.
12 maggio alla Domus Talenti, una bella idea per una rassegna organizzata dal pianista Sebastiano Brusco; si chiama Musica e Arte e abbina l’esecuzione di un brano classico alla pittura di un quadro, partendo dalla tela bianca; a disposizione del pittore non un minuto di più del tempo di esecuzione del brano stesso. I protagonisti: l’eccellente Brusco al piano, Natàlia Benedetti al clarinetto (di lei abbiamo apprezzato particolarmente, oltre alla padronanza delle chiavi, anche il muoversi disinibito del corpo, da jazzista. Raro fra i musicisti classici che di solito sono imbalsamati) e Giancarlino Benedetti, pittore e omonimo ma non parente. Una serata molto piacevole per la bontà dell’esecuzione, il pennello divertente e divertito del pittore, più la squisitezza della torta e dei vini offertici nel giardino.
E il problema? Eccolo: l’amico pianista dilettante.
A fine concerto l’atmosfera molto familiare dell’occasione suggerisce a uno sconsiderato seduto in prima fila (un amico, ci dicono, ma di quelli di cui è meglio non fidarsi, aggiungiamo noi) di impadronirsi, mentre brindiamo, della tastiera, sulla quale si mette a pestare i soliti temi di colonne sonore. E’ stato lì a imperversare per un quarto d’ora adulato da un gruppo di sciocchi che lo acclamavano: “bravo professore!” invece di cacciare a pedate un dilettante così maleducato da sporcare con gli scarponi il tappeto elegante tessuto precedentemente dai tre professionisti sulle trame di Saint Saens, Poulenc, Bernstein.
Ecco perché noi siamo in favore della formalità dell’esecuzione classica. Così si evitano siffatte scivolate.
15 maggio. Chiesa di S. Ignazio. Una delle più grandi e sontuose chiese di Roma, il soffitto magnificamente affrescato da Andrea Pozzo con almeno mille metri quadrati di prospettive folli. C’è perfino una finta cupola, dipinta magistralmente per sostituire la cupola vera mai realizzata per esaurimento dei bajocchi (siamo nel ‘600). Naturalmente, e qui ci tocca ripeterci, ma chissà che non serva a qualcosa, lungo tutti i cornicioni ci sono proiettori elettrici puntati direttamente verso il basso, sui fedeli, i quali, alzando gli occhi restano abbagliati e vedono poco di quello che invece meriterebbe. Dirette verso l’alto, al contrario, queste luci creerebbe la suggestione del cielo luminoso e della terra in penombra. Questo semplicissimo trucco (puntare in su invece che in giù, non costa un cent) temiamo che i parroci non lo capiranno mai.
La musica. Una cosa grandiosa, come dimensioni: la Passione di Domenico Bartolucci. Coro gigante, grande orchestra diretta da Michele Manganelli, entrambi ottimi, più due solisti vocali. Questi ultimi al microfono.
E il problema? Eccolo: l’acustica e l’elettricità
Ed è un problema di distanze. Il suono viaggia lentino, l’elettricità invece va velocissima, quindi le voci dei solisti che corrono sul filo, uscendo da altoparlanti proprio accanto a noi che stiamo seduti in fondo ci arrivano una frazione (ma avvertibile) di secondo prima dell’orchestra che invece viaggia nell’aria per conto suo lungo gli oltre ottanta metri della navata. Spiacevole effetto di sfasamento. Peccato perché l’acustica della chiesa, come si sa, anche se penalizza gli strumenti percussivi, ingrandisce l’orchestra e soprattutto il coro rendendone magnifica l’eco. Una piccola pecca, ma avvertibile. Il resto: perfetto.
16 maggio: Lo spettacolo musicale “Briganti emigranti”. In scena una formazione robusta: quattro coriste-soliste, quattro coristi-solisti, una ritmica, anche questa fatta di solisti, di tutto rispetto, e di tanto in tanto le apparizioni di quella cometa luminosa che è Pietra Montecorvino. Una voce, un carattere, una presenza strabilianti. Padrone di casa Eugenio Bennato, gentleman napoletano, autore e interprete egregio di taranta.
E il problema? Eccolo: il folklore.
Duecent’anni fa Rossini diceva di Wagner: Wagner ha dei minuti addirittura sublimi, però ha dei quarti d’ora terribili. Ecco, così è la taranta. Appena la senti ti fa battere le mani e saltare le gambe dall’entusiasmo. Al primo pezzo. Al secondo un po’ meno. Al quinto è già ossessione. Tutto uguale, di grande povertà armonica. Due accordi e basta. Un tempo in quattro pesantissimo con accenti sempre uguali e, naturalmente senza un briciolo di swing. D’altra parte è un ballo popolare, di una tradizione povera, quindi va bene così. Ma certo, una serata intera di taranta...Per fortuna c’era anche la Montecorvino che ha cantato qualche canzone napoletana di inizio secolo, e con lei, sì, viene fuori tutta la grande intensità di una produzione apparentemente leggera, ma invece di altissimo melodramma.
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