E’ finito l’inverno; sole tiepido, piante in boccio e uccellini cip cip. Ci sentiamo figli dei fiori, un bel po’ di anni in ritardo, ma agguerriti.
E cosa fa un figlio dei fiori? Tutto quello che non farebbe un borghese. Malgrado ci abbiano detto che non c’è quasi niente da vedere (siamo furbi, a noi non ci imbrogliano!) decidiamo di andare lo stesso al museo di Villa Farnesina.
Lì ci sarebbero tre cose importanti. La sala delle prospettive di Peruzzi: quasi inaccessibile. La sala di Galatea di Raffaello: decisamente proibita, in quanto, insieme all’altra, ma di più, è sotto restauro (chissà se con il Superbonus 110%.)
E, al piano terra, la loggia di Psiche che, invece è nostra. Ce la guardiamo ben bene e, naturalmente, rimaniamo debitamente colpiti dalla magnificenza degli affreschi, dipinti dalla mano dei suoi allievi ma su disegni del grande maestro Raffaello.
Poi facciamo quello che qualunque figlio dei fiori farebbe in un museo come questo: usciamo all’esterno, dove la natura sostituisce le opere d’arte.
Il giardino è in realtà un bellissimo agrumeto, di cui ecco un campione che non siamo in grado di identificare: un mandarino? Un pompelmo? Un arancio? In ogni caso bello, colorato e succoso.
Rientriamo ma continuiamo a guardare dalle finestre. Stavolta la nostra attenzione è tutta per il magnifico cedro che ci stupisce attraverso la massiccia inferriata del pianterreno.
Nell’itinerario di visita (quello borghese, non quello alternativo) è prevista la salita al piano di sopra, dove sappiamo che ci aspetterebbe la magica sala di Galatea, capolavoro assoluto del rinascimento.
Ma, come già detto, la Galatea è in restauro e non ci riceve: è colpa sua e allora siamo a posto con la coscienza: possiamo continuare a svolazzare da bravi farfalloni primaverili.
Ed è quasi del tutto inavvicinabile, perché impacchettata per il restauro, anche la Sala delle Prospettive. Stesso sgravio di responsabilità per noi. I tendoni ci permettono solo di sbirciare i graffiti lasciati da qualche insolente Lanzichenecco durante il sacco di Roma proprio sul cielo di uno dei panorami romani dipinti sul muro.
Li hanno decifrati, questi blasfemi scarabocchi, e c’è scritto: “1528 – perché io che scrivo non dovrei ridere? I Lanzichenecchi hanno fatto scappare il Papa”.
Come vandalismi non andavano per il sottile neanche allora.
Però, perché stupirci? In fondo erano, appunto, dei Lanzichenecchi.
P.S. Ci sentiamo obbligati a riferire che la invisibilità dei due saloni era doverosamente segnalata all’ingresso; ma allora, se c’è così poco da vedere, non sarebbe più carino chiudere addirittura il museo fino a conclusione dei lavori?
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