Nel pieno del solleone stiamo tornando in scooter verso casa sobbalzando, come su una pista da fuoristrada, fra mostruose fosse e avvallamenti profondi ricreatisi con sorprendente rapidità nella pavimentazione in sanpietrini di Piazza Venezia, totalmente rinnovata (la data emerge dal cervello shakerato fra un sobbalzo e una sbandata) con ingentissima spesa esattamente due anni fa.
E proprio due anni fa avevamo espresso la nostra incredulità, che riproponiamo, sulla stupidità della stessa sbagliata soluzione adottata a ripetizione dal Comune per un problema che di per sé ci sembra banalissimo.
Vi riproponiamo, senza neanche cambiargli il titolo, l’articolo del Cavalier Serpente.
DEMENZA SENILE – 11 luglio 2020
L’età, si sa, manifesta il suo malvagio potere in molte maniere; una di queste è costringerci a ripetere gli stessi errori senza da essi imparare niente. Chiamasi demenza senile.
Qualche anno fa Roma (si tratta appunto dell’anziana trimillennaria affetta da questa terribile malattia) decise di intervenire sul suo ombelico di maggior traffico, Piazza Venezia, sistemandone la pavimentazione a sanpietrini che era in pessime condizioni.
Pur non essendo in via di estinzione, come ci augureremmo, il sanpietrino (piramide tronca di pietra lavica di misure variabili, ma in media 12 x 12 x 18, in uso nelle strade e piazze romane fin dal tempo di Sisto V) è una specie protetta e perciò non si tocca. E siccome è un manufatto antico, quindi artigianale, il suo uso e la sua messa in opera seguono naturalmente ritmi artigianali e non industriali. Considerazione che dovrebbe bandirlo da strade a intenso traffico, soprattutto di bus urbani o turistici, minimo venti tonnellate ciascuno, per relegarlo a pittoreschi vicoli e piazzette pedonali.
All’epoca l’anziana demente non ci pensò due volte (neanche una, secondo noi) e procedette alla ricollocazione delle maledette piramidine tronche, bloccando tutta la zona per mesi in un lavoro assolutamente inutile e ricavandone, a pochi giorni dalla riapertura al traffico, compresi i veicoli pesanti di cui sopra, un percorso così pieno di gobbe e voragini da vincere il confronto con la famigerata Parigi – Dakar, gara oggi soppressa per ragioni politico-geografiche, che potrebbe benissimo essere ripristinata, proprio qui a Roma, a Piazza Venezia, dividendone il percorso in due infernali tappe: la “via IV Novembre - via Petroselli”, e la “via del Corso – rotatoria per via del Plebiscito”.
Proprio in quel periodo assistevamo riverenti all’operoso martellare dei selciatori. Sapevamo che era un processo artigianale. Loro tranquilli, seduti per terra a sistemare i sanpietrini a mano, come cent’anni fa, mentre tutto intorno il centro storico impazziva.
Noi crediamo di essere persone normali e non riusciamo a comprendere una scelta tecnica che l’esperienza ha già dimostrato essere molto peggiore del problema a cui dovrebbe rimediare.
Se non dandone la colpa alla demenza senile.
Perché oggi, verso le 16, ci siamo trovati di nuovo di fronte a una manifestazione della stessa patologia.
Siamo sotto il Vittoriano. A disposizione dei lavoratori c’è una distesa di sanpietrini pronti per essere posati (che, ammettiamolo, aggiunge un bel look da invasioni barbariche e crollo dell’Impero Romano ai marmi addormentati sotto il sole). Intorno, ovvio, infuria il traffico contemporaneo.
Sfidandolo, ci accostiamo alle transenne e sbirciamo il febbrile procedere dei lavori.
Eccone una fase alla quale abbiamo assistito entusiasti: un forzuto giovanotto, munito di ergonomici guanti, raccoglie da terra i blocchetti a due a due e li deposita sul cucchiaio di una macchina che, quando sarà pieno, (certo, il suo tempo ci vuole!) li trasporterà per consegnarli a questi altri due forzuti: veri bronzi di Riace (quello di destra un po’ meno) i quali procederanno alla loro messa in opera.
Che consiste, lo ripetiamo, nell’appoggiare, seguendo il filo guida, su un letto di sabbia i singoli sanpietrini, uno per uno, batterli con il mazzuolo in modo che si infilino tutti alla stessa profondità, e poi, quando sono in ordine, versarci sopra del catrame liquido misto a brecciolino che tamponerà gli spazi, spandendolo con un bello scopettone, che, come tecnologia, ci sembra perfettamente adeguato al resto della lavorazione.
Non è difficile prevedere che un tipo di pavimentazione così fragile, nata per i piedi nudi dei popolani, per le babbucce dei cardinali, diciamo anche per gli zoccoli di muli e cavalli e, ci vogliamo rovinare, perfino per le ruote di rare carrozze, sprofondi al passaggio del primo bestione motorizzato da tante tonnellate.
E’ successo ogni volta, tante volte. Siamo nel 2020, però il sanpietrino è sacro e non si cambia.
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