E’ passato agosto, ne sono successe di tutti i colori e noi, nel riprendere in mano la penna non sappiamo se essere tranquilli (come sarebbe la nostra natura) o arrabbiati (come le circostanze ci spingono a essere).
Di bello cosa abbiamo fatto? Siamo andati ai Musei Capitolini per la mostra su Domiziano, dove abbiamo visto un buffo busto del perfido imperatore trasformato in vaso, con la testa bucata e lo scarico piazzato nell’orecchio destro.
Poi ci siamo fissati di indire un campionato delle più belle natiche di marmo da votare in giro per i musei romani e il risultato è stato che praticamente tutti i glutei degni di attenzione erano maschili; infatti hanno vinto quelli del Meleagro di Palazzo Altemps.
Un bel giorno abbiamo deciso di fare un salto a Terracina: ci avevano parlato del teatro romano che stanno scavando sotto i resti delle casupole medievali distrutte dalle bombe del ’44. Il teatro c’è, ma la cosa più bella è la vista del Monte Circeo dalla terrazza del municipio: un sogno (come si diceva una volta) in Technicolor.
Finalmente, proprio l’altro ieri, ancora incerti, come abbiamo già detto, fra il sorriso di pace e il ghigno di guerra, siamo passati dalle parti di Palazzo Madama. E lì la situazione ha deciso per noi.
L’edificio, sede del Senato della Repubblica, quindi obiettivo assai delicato, è circondato e difeso contro possibili autobombe da una serie di belle, pesanti, certamente costose fioriere di cemento chiaro, segnate a metà altezza da una elegante cintura di ottone.
Queste fioriere sono ovviamente piene di terra e in questa terra sono state infilate, due per ogni vaso, delle interessanti piante spinose dall’aspetto, da vive, assai minaccioso, di origine desertica, capaci in teoria di resistere anche al clima più secco e agli assalti di malintenzionati.
Ecco, proprio qui, accanto alla sede della sua più prestigiosa istituzione, ci è apparsa la testimonianza della implacabile vocazione di Roma all’autodistruzione.
Altro che la siccità sahariana di questa estate: la nostra città, con la sua trascuratezza da terzo mondo, anche verso i suoi simboli più alti, con la sua inefficienza, con la sua mancanza di dignità riesce ad avere la meglio su qualsiasi progetto di eleganza, di ordine, di pulizia; perfino sulla natura più tosta.
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