Stavolta le nostre foto ricordo siamo andati a pescarle più lontano. Non sono neanche foto, c’è un selfie a olio, uno di plastica…
Una delle sue opere più famose è l’Estasi di Santa Teresa. Si trova in una chiesa di Roma, Santa Maria della Vittoria, ed è, servita dalla suprema maestria nel trattamento del marmo, dalla collocazione sapiente sull’altare, dalla illuminazione naturale studiata da quel grande scenografo che lui era, proprio la rappresentazione erotica sacra e sublimata dell’abbandono della donna alla possessione del dardo. D’oro, d’accordo; con la punta di fuoco e per di più in mano a un angelo, certo. Però decisamente allusivo, ci pare.
Non contento, ne ha fatta un’altra, di estasi: quella della beata Lodovica Albertoni, a San Francesco a Ripa, sempre a Roma. Un’estasi più sobria, nel senso che manca l’angelo con il dardo, ma la beata, anche lei scolpita con indescrivibile morbidezza se ne sta sdraiata contorcendosi un bel po’ sul giaciglio. E’ chiaro che questo tipo di rappresentazione, mimetizzata sotto il velo della mistica dedizione, faceva venire qualche pensierino a chi la guardava.
Perché, chissà come mai, almeno a giudicare dalla documentazione che ci è arrivata, in estasi ci andavano solo le sante (femmine), mentre gli artisti incaricati del racconto erano tutti maschi.
Si trattava certo di un erotismo sacro, purissimo e soprattutto presentato come momento edificante ad uso dei seminaristi (e probabilmente di qualche cardinale porcello, magari lo stesso committente). C’è chi dice che il nostro fosse del tutto privo di malizia, solo preso dal suo innocente desiderio di esaltare la fede delle sante. Non lo sappiamo. Rimane il fatto che si tratta di un’arte realizzata da uomini per altri uomini, usando immagini di donne.
Che in più finge di rappresentare un’idea lecita mentre forse in realtà ne racconta un’altra.
Domenica 22 settembre 2013 siamo a S. Lorenzo in Lucina a visitare la mostra a lui dedicata. Si intitola “La grande luce”. Naturalmente è tutta miracoli, stupore, devozione. E fin qui, ovvio: ognuno ha bisogno di smorzare le proprie paure, e quindi cosa c’è di meglio del totalmente irrazionale, che non può essere dimostrato se ci credi, ma neanche smentito se sei scettico.
Su una serie di pannelli leggiamo delle sue famose febbri, durante le quali la temperatura gli saliva a 48 gradi, e faceva scoppiare il termometro (ci pare di aver sempre sentito che una febbre così fa bollire il cervello in pochi secondi – e poi, come mai dei termometri tanto fragili?). Oppure del misterioso profumo di fiori emanato dalle stimmate, certificato dal suo medico, il dottor Festa.
Purtroppo, di queste mistiche ferite non esiste neanche un’immagine. Eppure la fotografia era già ben progredita all’epoca. Ma, appunto come detto in principio, ognuno si aggrappa al salvagente che gli capita. Sempre con tutto il rispetto, naturalmente.
A S. Salvatore in Lauro a Roma il parroco, un intraprendente operatore religioso, lancia ogni anno una celebrazione con messe, processioni, esposizione delle reliquie e un evento finale dal nome stranamente ferroviario di Transito. Presumiamo che nel linguaggio cattolico questo termine definisca il miracoloso passaggio dell’anima dall’involucro corporeo alla libertà dei cieli.
Per noi il miracolo è un altro. Dall’inizio dell’homo religiosus si è sempre fatto un gran lavoro per abbellire l’immagine del santo da venerare. Gesù, un palestinese proletario di duemila anni fa, non poteva che essere come lo ha rappresentato Pasolini nel Vangelo: un piccoletto esile, scuro e peloso, eppure nel corso dei secoli è diventato un ragazzone biondo, bello, alto e con gli occhi azzurri. San Francesco pare che fosse poco più di uno e quaranta, senza denti e butterato dal vaiolo. Non è certo così che ce lo hanno dipinto in seguito.
E invece il nostro, che nel frattempo è diventato santo anche lui, continuano a mostrarcelo com’era in realtà, senza migliorie. Forse le sue foto da vivo sono troppo fresche per essere smentite, certo nulla si è fatto per ingentilire o nobilitare quella sua faccia un po’ astiosa, quella barbetta non proprio divina, quelle sopracciglia quasi diaboliche...
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