“L’anno 1678, il 4 marzo, era una domenica. Venezia fu percorsa da un tremito che fece dare brividi sconnessi alla terraferma, illividire le lagune, offuscare il cielo: il terremoto! All’ora della messa grande: caduta una casa, sprofondato un arco, danni gravissimi”.
Lo stesso giorno nasce Antonio Vivaldi figlio di Giovanni Battista, violinista in S. Marco, gracile e per questo battezzato in casa.
“Chi nasce in un anno di terremoto è destinato a portare scompiglio a sé e gli altri.”
Infatti lui cresce di carattere focoso e combinaguai.
Appena ha l’età per farlo Vivaldi decide, d’accordo con il padre, di indossare la tonaca che, se non eri nobile, a Venezia serviva da garanzia e da lasciapassare per tutti gli ambienti. Una scelta decisamente carrieristica. Disciplinatamente il nostro segue tutti i gradi fino all’ordinazione a sacerdote a 25 anni. Da quel momento dimentica l’altare; rimane prete ma non dirà mai più messa.
A Venezia i trampolini per il successo erano la chiesa e il teatro.
A Venezia i costumi erano molto liberi. Con la scusa che uscivano spesso in maschera, i veneziani ne combinavano di tutti i colori.
A Venezia si faceva musica dappertutto: in casa, in chiesa, in teatro, in piazza.
Vivaldi comincia a interessarsi al teatro, un ambiente in cui regna la concorrenza, anche sleale. I proprietari delle tante sale, quasi sempre nobili, non pagano gli autori, i quali, non esistendo la tutela dei diritti, fanno causa ma con tempi lunghissimi e risultati incerti. A loro volta i gestori fanno causa ai cittadini che affittano i palchi e non li pagano.
Insomma, una gran confusione.
Intanto Vivaldi lavora al conservatorio della Pietà, una delle quattro istituzioni riservate alle ragazze povere. Insegnare lì è una grande responsabilità, ma anche un grande onore.
Quando porta le sue partiture alle Putte della Pietà, l’esecuzione è sempre una sorpresa per tutti. Lui è appassionato della sua scuola, e le ragazze di lui. La Pietà lavora molto: nel 1706 offre al pubblico 27 trattenimenti musicali.
Il primo bel colpo di Vivaldi è “L’Estro Armonico”, stampato in Europa dal grande editore Roger, che nasce dalla sua “indemoniata e furiosa febbre creativa”; pensato per la pubblicazione, ma anche per l’esecuzione e lo studio da parte delle Putte della Pietà, che erano brave e spesso anche carine, tanto è vero che, benché prete, Vivaldi se ne prende una in casa come segretaria.
Scandalo!
Lancia il concerto grosso; le sue innovative trovate musicali sono definite: “Istigazioni a delinquere contro il concerto grosso tradizionale”.
Parecchie di queste composizioni sono trascritte per cembalo da Bach, che è un suo estimatore.
Vivaldi ne compone una grande quantità. Stravinskij, che tanto tenero non era, diceva che Vivaldi aveva scritto 800 volte lo stesso concerto. Lui stesso dichiara di “saper scrivere un concerto strumentale, con tutte le sue parti, più velocemente di quanto ci metta a terminarlo un copista”.
Riceve l’incarico di insegnare violoncello alle putte, e questo lo spinge a scrivere anche per quello strumento, che all’epoca era ignorato da compositori ed esecutori.
Nel 1709 c’è una grande gelata. Le barche sono bloccate in laguna e la gente cammina sui canali. Grande festa e tanta musica. Arriva a Venezia Haendel. Si incontrano
1717: culmine della carriera di Vivaldi con la nomina a Direttore dei Concerti della Pietà, Musico di Corte del Conte Morzin e Maestro in Italia di Filippo d’Assia, con nientemeno che tre stipendi.
Pubblica con enorme successo “Le Quattro Stagioni”, che incorona definitivamente il suo nome e rimarrà, fino alla sua riscoperta, la sua opera più famosa, con la quale dà corpo definitivo alla musica descrittiva (in questo caso accompagnata da poesiole spesso derise dai critici, forse scritte da lui stesso, che usa per sottolinearne l’impostazione naturalistica): “Giunt’è la primavera e festosetti / la salutan gli augei con lieto canto, / e i fonti allo spirar de’ zefiretti / con dolce mormorio scorrono intanto /” …e così via primaverilmente cinguettando.
Vivaldi è ormai lanciato nel teatro. Fa tutto: allestimenti, scrittura, musica, assume cantanti e orchestre. Impresario di grande fortuna, va a Roma per l’Anno santo 1725 e viene presentato a Papa Benedetto XIII.
Ma torna presto a Venezia, dove incontra Goldoni, ma dove in questo periodo ha parecchi fastidi dai propri fratelli che sono dei mezzi imbroglioncelli, fanno pasticci e piccole truffe e gli creano imbarazzo.
E’ un periodo di splendore per Vivaldi e di enormi guadagli teatrali, tali che fanno scrivere a un cronista veneziano dell’epoca: “L’abbate don Antonio Vivaldi, eccellentissimo suonatore di violino, detto il Prete Rosso, stimato compositore di concerti, guadagnò ai suoi giorni 50.000 ducati, ma per sproporzionata prodigalità morì miserabile a Vienna”.
Proprio così: a un certo punto parte per Vienna e lì, non si sa come e perché (mancano notizie su questo brutto finale), muore il 28 luglio 1741 nella più assoluta miseria e viene sepolto come un pezzente con un funerale da 19 fiorini e le campane a metà, quelle da povero.
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