Diciamolo subito: Grieg è fortunato. È fortunato perché nasce in una famiglia ricca. È fortunato perché è l’unico compositore norvegese di livello, quindi in patria non ha rivali. È fortunato perché papà e mamma riconoscono subito la sua disposizione per la musica e la favoriscono in ogni modo. È fortunato perché un amico di famiglia, il famoso violinista Ole Bull, appena lo ascolta suonare a quindici anni, convince i genitori a mandarlo a proseguire gli studi a Lipsia, dove potrà approfondire tutto il repertorio del tempo.
È fortunato perché nel 1869 riceve dallo stato norvegese una borsa di studio che gli permette di andare in Italia a perfezionarsi con Liszt. È fortunato perché nell’82 riesce a firmare un vantaggiosissimo contratto con l’editore Peters di Lipsia che lo libera (anche se già è di famiglia benestante) da qualsiasi necessità economica. È fortunato perché vive in una nazione civile che, negli ultimi anni gli riconosce un vitalizio per i suoi meriti. È, infine, fortunato perché, quando muore (anche se troppo presto) è al massimo della sua fama e a salutarlo al suo funerale ci sono quarantamila persone.
Qualcosa che non funziona, ci sarà, no?
Infatti: è la salute. A diciassette anni salva la pelle per un soffio dal collasso di un polmone per una gravissima malattia respiratoria, che con gli anni va e viene e alla fine gli compromette il cuore, di cui muore nel 1907, dopo aver penato parecchio.
Per il resto, tutto bene. È un ottimo pianista, riconosciuto e onorato, un concerto dopo l’altro. È anche un profondo studioso del folklore musicale norvegese. Ricerca, raccoglie, rielabora un tesoro nazionale del quale nessuno si era occupato prima.
Fondatore dell’Accademia Norvegese di Musica, si dà da fare per far conoscere ai suoi connazionali il meglio del repertorio classico europeo. In pratica riesce a creare un canale culturale fra il suo paese, piccolo e relativamente arretrato fino a quel momento, con il resto del mondo che conta.
Ha una cugina, la cantante Nina Hagerup, con la quale ha formato un duo per i suoi concerti. La sposa, così da quel momento i viaggi, gli alberghi, i contratti; la vita insomma, si semplificano parecchio per lui, per lei e per gli impresari.
Durante un viaggio in Italia (che tutti i nordeuropei prima o poi affrontano in quell’epoca) conosce Henrik Ibsen, autore di quel Peer Gynt che rappresenterà la scintilla e il centro dell’immensa popolarità monotematica di Grieg, un esempio di fama universale basata su un unico brano di cui lui è un perfetto esempio.
Perché sappiamo anche che Grieg ha scritto un bel po’ di bella musica da camera, più un eccellente concerto per pianoforte e orchestra, più una serie di brani collegati al folklore norvegese ma l’unico titolo che ci scatta in mente quando pensiamo a lui è “Il Mattino”.
Che è uno dei brani nati per commentare la messa in scena del Peer Gynt, poi riuniti in due suite orchestrali (confezione che si presta ottimamente a mettere in risalto i motivi e la sapiente orchestrazione. E diciamolo pure con un pizzico di malizia: la sua sopraffina furbizia melodica). Un tema fra i tanti, tutti azzeccatissimi, sul quale si è appuntato nel suo modo arbitrario, imprevedibile e capriccioso il favore popolare.
Ci si è appuntato, e ci è rimasto inchiodato fino ad oggi.
Per concludere una esistenza felice, a un certo punto Grieg e sua moglie Nina se ne vanno a vivere (nei momenti liberi dai concerti) in una villetta vicino a Bergen, nella Valle dei Troll, completa di lago, capannina rossa con pianoforte per comporre in tranquillità e dotata anche di una tomba segreta, nascosta nella scarpata che scende all’acqua, dove troveranno posto le ceneri di Edvard e, parecchi anni più tardi, quelle di Nina.
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Rosa (sabato, 17 agosto 2024 22:51)
Ma è proprio bello questo blog