Bizet muore un paio di mesi dopo la prima della “Carmen”, convinto di aver perso la battaglia mentre invece ha vinto la guerra.
Ma non lo saprà.
Georges ha una personalità estremamente insicura che lo spinge a dubitare sempre delle proprie capacità artistiche. Per questo sintetizza, distrugge e lascia incompiute o inedite molte sue composizioni. E noi gliene siamo grati perché le sue raccolte di temi, le suite, che crea scegliendo il meglio della sua produzione, proprio perché non è mai sicuro di quello che ha scritto, risultano piacevolissime insalate miste, con le verdure più fresche e senza foglie appassite.
Papà Adolphe e lo zio Francois sono maestri di canto, la zia Charlotte insegna solfeggio, mamma Aimee è pianista. Lui a dieci anni è già al conservatorio dove studia con Gounod e Halevy. Come tanti ragazzi della sua età, anche lui è fissato con il Prix de Rome, l’ambito viaggio e soggiorno di studio in Italia. Ci prova una volta e gli va male.
Allora cambia obiettivo e, come niente fosse, vince un concorso organizzato da Offenbach con un’operina che ha un gran successo e gli apre le porte dei salotti di Parigi. Frequenta le serate di Offenbach il venerdì e quelle di Rossini il sabato. È la consacrazione.
Con Il Prix de Rome ci riprova, stavolta lo vince con il massimo dei voti e a meno di vent’anni parte. Georges è un ottimo pianista: una dote che lo lancia anche nell’alta società di Roma. È un momento molto positivo della sua vita, tanto che neanche si accorge del nemico che comincia a mangiarselo da dentro: una terribile angina.
Nel ’60 l’amatissima mamma Aimee si ammala gravemente; lui torna a casa per starle vicino. È arrivato il momento di decidere il futuro. Malgrado Liszt lo riempia di complimenti sulle sue doti di pianista, e anche la mamma dal suo letto di malata insista per farlo diventare un virtuoso, lui non ci sta. Vuole fare il compositore e non il concertista. E viene prontamente punito.
Rimane senza il becco di un quattrino è obbligato a dare lezioni, a fare trascrizioni e arrangiamenti e in più gli sale addosso una mania di persecuzione che lo accompagnerà tutta la vita.
Piano piano arrivano commissioni più serie e l’invito a collaborare a una rivista di critica musicale su cui brillano le sue inaspettate e fino ad allora sconosciute doti letterarie.
Poi, colpo di fulmine! conosce la deliziosissima Genevieve Halevy, figlia del suo insegnante al conservatorio. Naturalmente il papà di lei non ci sta a dare la sua bambina a un artista squattrinato e malaticcio (l’angina comincia ad affacciarsi seriamente).
Finalmente il suocero cede. Si sposano, hanno un bambino, ma presto Genevieve manifesta forti squilibri mentali e a questo si aggiunge il periodo drammatico dell’assedio di Parigi, della spietata repressione della Comune e delle crescenti difficoltà per affrontare la semplice sopravvivenza.
Davvero un brutto momento.
Nel 1872 comincia la rinascita. L’impresario amico Carvalho gli commissiona “L’Arlesiana” e lo mette a lavorare con il poeta Alphonse Daudet, col quale si intende subito. La prima teatrale, mal provata e mal eseguita, è un fiasco, ma Bizet non si scoraggia e dalla partitura dell’opera estrae una delle sue magnifiche suite per orchestra (di cui, come abbiamo già detto, gli siamo immensamente grati) che ha un grandioso successo. Finalmente!
E adesso, sotto con “Carmen”. Dopo tre anni di lavoro dalle sue mani esce l’opera che conosciamo e che entusiasma già gli spiriti liberi del tempo (Nietsche, Puccini, Brahms, Freud), ma non ancora la stampa e il pubblico della prima, il 3 marzo 1875, che, abituati ai personaggi stereotipati della lirica tradizionale, si scandalizzano per l’immoralità e lo spietato verismo di quella storia di zingare e toreri e la boccia.
Bizet è annientato, la sua angina si scatena costringendolo addirittura sulla sedia a rotelle. Qualche settimana dopo, se ne parte per la campagna in cerca di pace: passeggiate, riposo; ma azzarda un imprudente bagno nel fiume che gli scatena una crisi cardiaca e la sera della trentatreesima replica di Carmen (quando ormai il suo capolavoro ha cominciato la sua marcia trionfale, ma lui non lo sa e crede che stia ancora lì a zoppicare), muore convinto, come abbiamo già detto, di aver perso la battaglia mentre invece ha vinto la guerra.
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